pensioni lavoratori precociSi completa il prossimo anno l’ultimo tassello della riforma Fornero. Sia le lavoratrici dipendenti che autonome potranno uscire solo con 66 anni e 7 mesi. Invariati i requisiti per la pensione anticipata.


Cattive notizie per le future pensionate. A partire dal 2018 le donne andranno in pensione di vecchiaia con la stessa età degli uomini, vale a dire 66 anni e 7 mesi, per via dell’aumento di un anno per le dipendenti private e di sei mesi le lavoratrici autonome e parasubordinate. Si tratta di adeguamenti contenuti nella legge Fornero del 2012 che aveva previsto l’aggancio dei requisiti ai lavoratori uomini e alle lavoratrici del pubblico impiego a partire dal 1° gennaio 2018. Dunque nulla di nuovo. Attualmente le dipendenti del settore privato possono uscire con 65 anni e 7 mesi e le autonome con 66 anni e 1 mese.

 

Nel 2018 resteranno, invece, invariati i requisiti per conseguire la pensione anticipata: le donne sia del settore privato che del pubblico impiego potranno ritirarsi a prescindere dall’età anagrafica se hanno raggiunto 41 anni e 10 mesi di contributi e gli uomini 42 anni e 10 mesi di contributi. Tale maturato contributivo, è bene ricordarlo, può essere raggiunto anche cumulando la contribuzione presente in diverse gestioni previdenziali non coincidenti da un punto di vista temporale. La legge di bilancio del 2017 ha, infatti, previsto la facoltà di cumulo dei periodi assicurativi tra l’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, le gestioni speciali dei lavoratori autonomi le gestioni esclusive e sostitutive dell’AGO, la gestione separata dell’Inps nonchè le casse professionali anche ai fini del conseguimento della pensione anticipata. Per il cumulo della contribuzione con le casse dei liberi professionisti si attende però la pubblicazione di una apposita circolare attuativa e la stipula di apposite convenzioni tra Casse ed Inps per l’erogazione della pensione. Nel 2018 salgono anche i requisiti anagrafici per l’assegno sociale: dai 65 anni e 7 mesi si passerà a 66 anni e 7 mesi equiparando i requisiti per la pensione di vecchiaia. 

 

Dal 2019 potrebbe andare ancora peggio a causa dello scatto del terzo adeguamento alla speranza di vita. Tutti i requisiti per il pensionamento salirebbero di ulteriori cinque mesi portando l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni e quella per la pensione anticipata a 42 anni e 3 mesi di contributi (43 anni e 3 mesi per gli uomini). Il valore di questo adeguamento, ancora non ufficiale, sarà fissato definitivamente a fine anno.

 

 

La fine del regime sperimentale

 

Gli effetti per le lavoratrici sono ancora più pesanti considerando la progressiva chiusura dell’opzione donna, cioè la possibilità di anticipare l’uscita optando per il calcolo interamente contributivo. Questa facoltà, infatti, è rimasta a disposizione solo di coloro che hanno raggiunto i 57 anni (58 anni le autonome) unitamente a 35 anni di contributi al 31.12.2015. Chi non ha centrato i requisiti entro il 2015 resta fuori a meno che il Governo stabilisca una ulteriore proroga.

 

I canali di flessibilità introdotti nel 2017

 

Con l’ultima legge di bilancio il Governo ha tentato di introdurre alcuni elementi di flessibilità in particolare per le categorie di lavoratori più disagiate. Così è entrato in vigore l’Ape sociale dai 63 anni e l’agevolazione contributiva per i lavoratori precoci, cioè coloro che hanno almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età. Queste misure sono però riservate ai soggetti in condizione di maggiore difficoltà (disoccupati, invalidi, caregivers e addetti a mansioni gravose) e peraltro entro un limite di risorse annualmente stabilite. L’unica strada per anticipare l’uscita in modo generalizzato è costituita dall’Ape volontario di cui il Governo ha firmato questa settimana il Decreto attuativo: i lavoratori che hanno 63 anni e almeno 20 anni di contributi potranno dalle prossime settimane ottenere un prestito dalle banche per un massimo di 43 mesi in attesa di raggiungere la pensione di vecchiaia da restituire, una volta in pensione, nei successivi venti anni. Un’operazione costosa, da ponderare per bene prima di attivarla, perchè poi non sarà più revocabile.

 

Sindacati: Occorre modificare il sistema

 

Il fatto che a gennaio 2018 per effetto della legge Fornero scatti l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne a 66 anni e sette mesi, è un ulteriore motivo per intervenire sul sistema previdenziale, bloccando lo scorrimento in avanti dei requisiti pensionistici previsti nel 2019 in relazione all’avanzamento dell’aspettativa di vita”. E’ quanto sottolinea il Segretario Confederale della Cisl, Maurizio Petriccioli, responsabile del dipartimento previdenza. “Il fatto che in Italia l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia sia già la più alta in Europa deve far riflettere quanti continuano a sostenere un ulteriore allungamento dell’età pensionabile.

 

Tra l’altro, come la Cisl da tempo sottolinea, sono state proprio le donne in questi anni ad essere particolarmente penalizzate sul piano previdenziale perché hanno dovuto in un breve periodo di tempo adeguare i loro requisiti pensionistici a quelli dei colleghi uomini. Ecco perchè è più che necessario bloccare un ulteriore scorrimento in avanti dell’età pensionabile, sostenere le misure previste da opzione donna e prevedere, anche attraverso la contribuzione figurativa, una riduzione del requisito pensionistico che riconosca la maternità ed il lavoro di cura in modo da consentire un pensionamento anticipato per tante donne lavoratrici. Questa è una delle richieste del sindacato che porteremo nel confronto che avremo sui temi della previdenza con il Governo”.