La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 129/2016, ha bocciato il taglio incrementale da oltre 7,2 miliardi di euro dei trasferimenti erariali agli enti locali stabilito dall’art. 16, co. 6 del D.L. n. 95/2012. La Corte Costituzionale, a seguito delle diverse contestazioni giunte da parte di vari comuni, ha bocciato tale disciplina sia nel metodo che nel merito.
L’impugnato art. 16, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012, indicando gli obiettivi di contenimento delle spese degli enti locali, si pone come principio di coordinamento della finanza pubblica, che vincola senz’altro anche i Comuni. Nessun dubbio che, come già ripetutamente affermato da questa Corte (sentenze n. 65 e n. 1 del 2016, n. 88 e n. 36 del 2014, n. 376 del 2003), le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali; tuttavia, tale incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione (sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012).
Vero è che i procedimenti di collaborazione tra enti debbono sempre essere corredati da strumenti di chiusura che consentano allo Stato di addivenire alla determinazione delle riduzioni dei trasferimenti, anche eventualmente sulla base di una sua decisione unilaterale, al fine di assicurare che l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica sia raggiunto pur nella inerzia degli enti territoriali (ex multis, sentenze n. 82 e 19 del 2015). Ma tale condizione non può giustificare l’esclusione sin dall’inizio di ogni forma di coinvolgimento degli enti interessati, tanto più se il criterio posto alla base del riparto dei sacrifici non è esente da elementi di dubbia razionalità, come è quello delle spese sostenute per i consumi intermedi.
In effetti, non appare destituita di fondamento la considerazione, sviluppata dal giudice rimettente, che nella nozione di «consumi intermedi» possono rientrare non solo le spese di funzionamento dell’apparato amministrativo – ciò che permetterebbe al criterio utilizzato di colpire le inefficienze dell’amministrazione e di innescare virtuosi comportamenti di risparmio -, ma, altresì, le spese sostenute per l’erogazione di servizi ai cittadini. Si tratta, dunque, di un criterio che si presta a far gravare i sacrifici economici in misura maggiore sulle amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla loro virtuosità nell’impiego delle risorse finanziarie.
Dati questi elementi di ambiguità, si deve ritenere che il ricorso al criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi come parametro per la quantificazione delle riduzioni delle risorse da imputare a ciascun Comune possa trovare giustificazione solo se affiancato a procedure idonee a favorire la collaborazione con gli enti coinvolti e a correggerne eventuali effetti irragionevoli. Il criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi non è dunque illegittimo in sé e per sé; la sua illegittimità deriva dall’essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria, vale a dire solo dopo infruttuosi tentativi di coinvolgimento degli enti interessati attraverso procedure concertate o in ambiti che consentano la realizzazione di altre forme di cooperazione.
Né si deve sottovalutare il fatto che la disposizione impugnata non stabilisce alcun termine per l’adozione del decreto ministeriale che determina il riparto delle risorse e le relative decurtazioni. Un intervento di riduzione dei trasferimenti che avvenisse a uno stadio avanzato dell’esercizio finanziario comprometterebbe un aspetto essenziale dell’autonomia finanziaria degli enti locali, vale a dire la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività che richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione.
Per tutte queste ragioni, complessivamente considerate, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. n. 135 del 2012.
In allegato il testo completo della Sentenza.