spazio urbanoPresentato lo studio sul disagio insediativo: sono 2.430 i comuni con meno di 5mila abitanti che soffrono un forte disagio: negli ultimi 25 anni 1 persona su 7 se n’è andata. Aumenta dell’83% la popolazione anziana (oltre 2 anziani per 1 giovane). Quasi due milioni le case vuote, 1 ogni tre non è occupata. Il rilancio di questi territori al centro di Voler bene all’Italia, la festa dei piccoli comuni dedicata ai cammini. Dal 2 al 5 giugno tanti eventi per riscoprire a piedi e in bicicletta i piccoli borghi.

 

Un’Italia piccola ma dall’anima profonda che va dalle Alpi agli Appennini per arrivare alle isole minori: è l’Italia dei 5.627 piccoli comuni al di sotto di 5.000 abitanti, pari al 69,9% del totale dei comuni del Belpaese (8.047). Di questi sono 2.430 quelli che soffrono un forte disagio demografico ed economico, piccoli borghi che occupano il 29,7% della superficie territoriale nazionale, oltre 89mila kmq, una densità abitativa che non raggiunge i 36 abitanti per kmq quasi 13 volte meno rispetto ai comuni sopra i 5mila abitanti. In particolare negli ultimi 25 anni (dal 1991 al 2015) in questi territori si è registrato un calo della popolazione attiva (675mila abitanti in meno, cioè il -6,3% nei comuni sotto i 5000 abitanti), 1 su sette se ne è andato, un aumento di quella anziana (gli ultra 65enni a fronte dei giovani fino ai 14 anni sono aumentati dell’83%), con oltre 2 anziani per 1 giovane. Le case vuote sono 1.991.557 contro le 4.345.843 occupate: una ogni tre è vuota. Ai dati negativi relativi al disagio demografico, si aggiungono quelli legati alla capacità ricettiva: negli ultimi 25 anni l’ospitalità turistica è cresciuta di appena 21%, passando da 1,12 milioni di posti letto a 1,36. In particolare i piccoli comuni si dimostrano circa 4 volte turisticamente meno produttivi, considerando offerta di posti letto e tasso di utilizzazione.

 

Nonostante il quadro complessivo poco rassicurante, i piccoli comuni rimangono luoghi di grandi opportunità e innovazioni che hanno bisogno però di interventi mirati e strategie a lungo termine. Soprattutto bisogna puntare sulle opportunità residenziali, turistiche e agricole, che se valorizzate, potrebbero dare nuovo futuro a questi territori. È quanto emerge dallo studio “Piccolo (e fuori dal) comune. I piccoli comuni” realizzato da Sandro Polci (responsabile dello studio, partner Cresme Consulting) con Roberto Gambassi, presentato oggi a Roma in occasione del convegno “La modernità dei piccoli comuni”, organizzato da Legambiente e dall’Anci per fare il punto sulle realtà minori, lanciare proposte per il loro popolamento e una efficace rivitalizzazione, illustrare le buone pratiche messe in atto da molti di questi centri come quello di Montepigliano e di Acquaformosa.

 

Al convegno, organizzato presso la sede dell’Anci, hanno partecipato: Antonella Galdi, Vice Segretario Generale ANCI ed Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, che hanno aperto l’incontro. A seguire l’intervento di Sandro Polci del Cresme, Alessandra Bonfanti di Legambiente, Massimo Castelli, Coordinatore piccoli comuni ANCI, Domenico Mauriello, responsabile centro studi Unioncamere, Fabio Renzi, Segretario Generale Fondazione Symbola, Carmello Rollo, vicepresidente Legacoop, Adriano Maroni, Amministratore Menowatt Ge, Paolo Piacentini, del Mibact. Per la sessione “Esperienze a confronto”, sono intervenuti Ivan Stomeo, sindaco Melpignano presidente Ass. Borghi Autentici, Lino Gentile, sindaco Castel Del Giudice, Giovanni Manoccio, Assessore politiche dell’accoglienza di Acquaformosa, Mauro Guerra, Sindaco San Leo e Alberto Bambini, Sindaco Acquapendente. Hanno concluso l’incontro: Roberto Pella, Vice Presidente ANCI, Bruno Valentini, Sindaco Siena e delegato ANCI politiche ambientali e territorio, Ermete Realacci, Presidente Commissione Ambiente e Territorio della Camera e Rossella Muroni, presidente di Legambiente.

 

Scenari e proposte – In Italia abbiamo borghi di straordinaria bellezza, vi è un sistema di parchi e aree protette, di gran lunga il più importante d’Europa, che attira oltre 100 milioni di visitatori all’anno; dai cammini religiosi, storici e naturalistici alle centinaia di produzioni agricole a marchio di qualità; dai 10,9 milioni di ettari di patrimonio forestale, in costante crescita, alle centinaia di comuni modello per la raccolta differenziata che si candidano a palestre di economia circolare, fino a quelli che scommettono sulle energie rinnovabili e puntano a diventare fossil free. E’ da qui che occorre ripartire per rilanciare i piccoli comuni: occorre recuperare le aree agricole, le case vuote e gli edifici storici; è fondamentale mettere a valore il patrimonio boschivo dando in concessione i fondi forestali pubblici a cooperative e imprese del territorio; definendo procedure trasparenti per l’assegnazione delle concessioni, sotto la supervisione del Ministero delle politiche agricole, attraverso bandi che premino le imprese locali e una gestione sostenibile che porti a costruire filiere locali certificate. Consentire la produzione e distribuzione locale di energia da fonti rinnovabili, sul modello delle cooperative alpine, in modo da realizzare impianti a biomasse, idroelettrici, eolici, solari di piccola taglia a servizio delle utenze poste nello stesso ambito comunale. La ricerca Cresme mette in evidenza l’opportunità residenziale legata al riuso delle case vuote. Con un investimento di circa 40 mila euro per ognuna delle 125 mila abitazioni ipotizzate, avremmo un business di 5 miliardi, pari a circa 100 mila occupati per un anno. C’è poi l’opportunità turistica. Se solo un quarto dei posti letto fosse utilizzato secondo le medie urbane, il turismo creerebbe benessere diffuso: 123 milioni di presenze ogni anno, un fatturato di quasi 10 milioni di euro con oltre 300 mila nuovi posti di lavoro. L’opportunità agricola legata ai terreni, invece, potrebbe portare alla nascita di oltre 125mila nuove aziende agricole solo recuperando in modo innovativo un quarto delle superfici agricole abbandonate negli ultimi 20 anni.

 

“Il bello, la tecnologia, l’innovazione. Questi tre elementi vanno coniugati nei territori e nei borghi del Paese. – ha dichiarato Massimo Castelli, coordinatore nazionale dei piccoli Comuni dell’ANCI – Una politica che dimentica tutto questo, non fa l’interesse della nazione. Per questo siamo orgogliosi di questa iniziativa con Legambiente. E per questo chiediamo nuove politiche per i territori, che partano proprio dall’innovazione tecnologica. Va invertito il trend di progressivo abbandono dei piccoli Comuni da parte della politica e, di conseguenza, dei cittadini al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni. Il patrimonio rappresentato dai piccoli Comuni, che coprono il 52% del territorio nazionale, non può essere disperso. E perciò servono risorse e nuove politiche. Smart village insieme alle smart city, e un fondo stabile per i piccoli Comuni.

 

“Oggi – dichiara Rossella Muroni, presidente di Legambiente – esistono tutte le condizioni per innescare processi virtuosi che consentono di fermare l’abbandono dei piccoli comuni e delle aree interne, ma per far ciò è indispensabile puntare sulla semplificazione amministrativa, mantenere i presidi di attività nei diversi centri come scuole, servizi postali e presidi sanitari; garantire risorse per la valorizzazione come prevede il ddl sui piccoli comuni in discussione alla Camera. Ed ancora puntare sulle opportunità legate al recupero dei boschi e delle aree agricole abbandonate, alla rigenerazione urbana dei centri storici, favorendo l’autoproduzione da fonti rinnovabili. L’Italia non perda questa occasione, abbia dunque il coraggio di scommettere su queste piccole ma preziose realtà”.

 

Lo studio – Dallo studio emerge che la microterritorialità, sebbene ancorata a territori dalle forti potenzialità storiche, turistiche, produttive, architettoniche e paesaggistiche, rappresenta un forte limite rispetto alle esigenze di capitalizzazione e di competitività. Se storicamente vi erano plus che generavano elementi di attrattività, oggi i territori dei piccoli comuni sono aggrediti più degli altri dalla crisi, fino ad arrivare alla soglia di ‘non ritorno’. “Per superare la forte crisi demografica e contrastare il disagio insediativo, è necessario valorizzare le grandi specificità di questi scrigni di qualità culturale, enogastronomica e di loisir. Servono in pratica nuovi abitanti, in buona percentuale giovani e laboriosi, capaci (o da formare per) creare nuove imprese agro-silvo-pastorali, nuovi turismi per ‘(ri)creare identità antiche e nuove’ e valorizzare culture materiali e immateriali, in agricoltura, nell’artigianato e nell’industria creativa legati alla naturalità dei luoghi”, hanno dichiarato Sandro Polci, responsabile dello studio, e Roberto Gambassi.

 

Nei luoghi dove sono presenti politiche di questo tipo, esiste l’opportunità per un nuovo protagonismo sociale ed economico. Il “dinamismo” è dunque una delle componenti più importanti che emergono: laddove le condizioni sociali, economiche e territoriali presentano caratteristiche urbane, si rafforzano gli elementi di inclusività e di sostenibilità dello sviluppo. È però importante definire anche un indirizzo strategico nazionale che miri a valorizzare la filiera eno-agro-alimentare, del turismo verde, di identità – cultura partendo da quei sistemi già strutturati anche se non ottimizzati (Aree Naturali Protette, Festival, Eventi estivi, infrastrutture culturali quali Vie Francigene, dei Tratturi, del Sale, delle Cime, cicloturistiche, ecc.). Infine, nello studio vengono anche presentate due buone notizie: il fatto che le giovani imprese in agricoltura siano 23 mila e che il numero dei laureati, negli ultimi venti anni, sia raddoppiato, lasciano ben sperare per il futuro dei piccoli comuni.

 

Buone pratiche – Da nord a sud del paese, sono molti i piccoli comuni che fanno scuola dimostrando che è possibile contrastare il disagio insediativo puntando su tradizione e innovazione, sulla tutela dell’ambiente, sulla rigenerazione del patrimonio abitativo, sull’uso delle rinnovabili, dando avvio ad un’economia circolare che parte del basso coinvolgendo comunità e cooperative. Buone pratiche, ma anche filiere green pensate riassunte e raccontate del “Quaderno Green 2016”, di Legambiente e Legacoop presentato oggi durante il convegno per parlare anche di piccoli comuni ed economia circolare.

 

Ad esempio, c’è il caso esemplare del comune di Riace (RC) e di tutto il distretto calabrese dell’accoglienza, che, nel 1998 in seguito ad uno sbarco, ha ospitato più di 6.000 migranti, protagonisti anche della rinascita economica di un paese a forte rischio di spopolamento. Un’esperienza che ha fatto inserire il sindaco, Domenico Lucano come unico italiano tra le 50 personalità più influenti nel mondo nella recente classifica elaborata dalla rivista Fortune. Oppure la cooperativa di comunità I briganti del cerreto, nata a Cerrato d’Alpi, piccola frazione del comune di Ventasso (RE), che tra le diverse attività si occupa anche del recupero dei castagneti: dalla manutenzione alla lavorazione della castagna.

 

Senza dimenticare l’impegno di tanti piccoli comuni campioni nella raccolta differenziata e nell’uso delle rinnovabili. Come ad esempio il comune di San Lorenzo Bellizzi (CS), situato all’interno del Parco del Pollino e che conta poco più di 660 abitanti, che ha utilizzato alcuni terreni, ceduti a titolo gratuito ad alcune cooperative agricole locali, per realizzare 15 MW di impianti fotovoltaici su serre. Le entrate derivanti dal Conto Energia, circa 80.000 euro l’anno, sono state ridistribuite in questi anni alla cittadinanza attraverso l’esenzione della TASI. “Il sistema di illuminazione pubblica riveste un ruolo centrale nel percorso da intraprendere per migliorare ed efficientare il territorio – ha sottolineato Adriano Maroni, amministratore delegato di Menowatt Ge – La pubblica illuminazione è un asset strategico e fondamentale per lo sviluppo di tanti servizi comunali tali da rendere intelligente il rapporto con il territorio. Un appello agli amministratori locali: non perdiamo questa eccezionale possibilità”. L’azienda ha infatti sviluppato tecnologie che non solo abbattono i consumi ma trasformano il punto luce in un hub che riceve e trasmette informazioni essenziali per la vita della città.