L’Ape, acronimo che sta per Anticipo pensionistico è il progetto a cui il Governo sta lavorando per consentire, dal 2017, a chi ha raggiunto almeno i 63 anni di età di andare in anticipo in pensione. I primi interessati sarebbero i nati a partire dalla seconda metà del 1951 sino al 1953. Per ottenere l’anticipo il lavoratore deve essere disposto a rinunciare a una percentuale del trattamento stesso, individuata in una forbice tra l’1 e il 3% annuo che salirebbe al 4% ed oltre nel caso di assegni alti. L’operazione verrà fatta con prestiti da parte di banche e assicurazioni attraverso l’Inps, che dovranno poi essere restituiti a rate dagli interessati.
La penalità, secondo le indicazioni del Governo, tuttavia non sarà uguale per tutti i lavoratori: per i disoccupati di lunga durata (cioè coloro che hanno esaurito l’intera durata della Naspi, dell’Asdi o dell’indennità di mobilità) o per coloro che conseguirebbero un assegno inferiore a 1.500 euro al mese (cioè tre volte il trattamento minimo) l’importo della decurtazione dovrebbe risultare piuttosto contenuto (anche nell’ordine dell’1% per ogni anno di anticipo). Si ricorda che la penalità coinvolge le sole quote dell’assegno calcolate con il sistema retributivo (quota A e quota B). Vale a dire le anzianità maturate sino al 31 dicembre 2011 per i lavoratori in possesso di almeno 18 anni di contribuzione al 31.12.1995 o sino al 31.12.1995 per i lavoratori in possesso di meno di 18 di contributi alla predetta data. Pertanto la riduzione sarà più intensa per coloro che hanno almeno 18 anni di contributi al 1995 in quanto larga parte del loro assegno è ancora calcolata con il sistema retributivo.
Immaginando, ad esempio, un assegno lordo mensile di 2.500 euro di cui 2.200 euro frutto del sistema retributivo (cioè calcolato in misura più vantaggiosa sino al 31 dicembre 2011) l’applicazione di una penale del 10% su questa quota potrebbe costare circa 220 euro al mese per un totale di 2.860 euro l’anno, pari circa a 1.600 euro netti, poco meno di una mensilità di pensione all’anno.
Sulla penalità, in definitiva, il Piano del Governo riprende alcuni contenuti dal progetto Damiano-Baretta (ddl 857) e dal Piano Boeri. Damiano ipotizza, comunque, una penalità più leggera e fissa, pari al 2% per ogni di anticipo sino ad un massimo però di quattro anni contro i tre previsti dal Governo. Anticipo, quindi, che al massimo può portare ad una riduzione dell’assegno dell’8%. Boeri teorizza una decurtazione più pesante, anch’essa fissa nell’ordine del 3% annuo sino ad un massimo di tre anni. Da considerare, inoltre, che anche la quota C di pensione, quella calcolata con il sistema contributivo, sarà sottoposta ad una riduzione in quanto si andranno ad attivare coefficienti di trasformazione del montante contributivo ridotti rispetto a quelli vigenti sull’età piena producendo un ulteriore effetto negativo sull’assegno.
Da segnalare, inoltre, che nel Piano del Governo non ci sono, almeno per ora, misure a sostegno dei lavoratori precoci, invece previste nel progetto depositato dall’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (ddl 857) in discussione alla Camera.