Il Part-Time agevolato delude i precoci. Chi, infatti, raggiunge entro il 2018 i requisiti previsti per la pensione anticipata (cioè 42 anni e 10 mesi di contributi o 41 anni e 10 mesi di contributi le donne) non potrà trasformare il rapporto di lavoro in part time per gli ultimi anni che lo separano dalla pensione. E’ questa una delle principali limitazioni previste dal decreto del ministero del lavoro e dell’Economia pubblicato la scorsa settimana in Gazzetta Ufficiale.
La misura decollerà ufficialmente nei prossimi giorni ma nasce con una lacuna abbastanza evidente: si applica solo ai lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 2018 vale a dire i 66 anni e 7 mesi (65 anni e 7 mesi le lavoratrici). Restano fuori, tra l’altro, quindi i lavoratori precoci, cioè coloro che vantano un maturato contributivo piuttosto elevato ma anzianità anagrafiche ancora “basse” in quanto hanno iniziato a lavorare in età particolarmente premature. Si pensi, ad esempio, ad un lavoratore che possiede attualmente 40 anni di contributi e 58 anni di età (che ha iniziato a lavorare, quindi, a 18 anni). Costui pur maturando il requisito per la pensione anticipata entro il 2018 avrà per quella data ancora un’età ben inferiore ai 66 anni e 7 mesi e, pertanto, non può chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro in part-time.
Niente trasformazione anche per i lavoratori del pubblico impiego nè per coloro che lavorano a tempo determinato, altre due restrizioni volte a contenere la platea dei potenziali interessati. Da segnalare che potranno accedere al part-time agevolato anche i lavoratori del settore privato titolari di un conto assicurativo presso fondi sostitutivi ed esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria: dunque, almeno in teoria, potrebbero accedere anche i dipendenti delle ferrovie dello stato che dal 2012 hanno perso le specificità di settore previste dalla normativa ante-fornero. Sul punto saranno necessari appositi chiarimenti da parte dell’Inps.
Secondo il Dicastero di Via Veneto nei prossimi due anni e mezzo saranno circa 30mila i lavoratori che sceglieranno, a seguito di un accordo con il datore di lavoro, il part-time agevolato. Ricordiamo che per chi sceglie il part-time agevolato lo Stato verserà la copertura pensionistica figurativa per la quota di retribuzione perduta dal dipendente in modo che costui, a fini pensionistici, otterrà una pensione come se avesse lavorato a tempo pieno per tutti gli anni in cui si è svolto il lavoro in part-time. In una trasformazione standard, cioè al di fuori del meccanismo coniato dal decreto (che resta pur sempre possibile), il lavoratore dovrebbe pagare di tasca propria il differenziale contributivo con i contributi volontari pena la diminuzione della misura del reddito pensionistico.
Il datore di lavoro, inoltre, se consente la trasformazione dovrà trasferire nella busta paga, oltre alla retribuzione, una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe stata a carico di quest’ultimo relativa alla prestazione lavorativa non effettuata. Tale importo non concorrerà alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non sarà assoggettato a contribuzione previdenziale. Questo accorgimento, se da un lato consentirà al lavoratore di perdere una cifra inferiore ai due terzi del reddito erogato con l’orario pieno, potrebbe scoraggiare alcuni datori di lavoro (soprattutto i più piccoli) dal consentire la trasformazione in quanto il costo orario della prestazione da loro sostenuto sarebbe destinato ad aumentare.