interpelloLo Statuto prevede che la risposta, scritta e motivata, vincola l’amministrazione finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’interpello e limitatamente al richiedente, e che sono nulli eventuali atti a contenuto impositivo e/o sanzionatorio difformi dalla risposta resa anche per effetto del silenzio assenso. La risposta si estende, salva la possibilità di rettifica, ai comportamenti successivi del contribuente, purché riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello.

 

Gli effetti della risposta all’interpello sull’attività di accertamento

 

Ferma restando l’attività di controllo in ordine alla corrispondenza tra la fattispecie descritta dal contribuente nell’istanza e quella concreta riscontrabile in sede di verifica, i principi contenuti nella risposta inibiscono la possibilità di sollevare rilievi sia da parte dell’Agenzia delle Entrate che da parte della Guardia di finanzia; va ricordato che la risposta produce gli effetti sopra menzionati solo nei limiti tracciati dalla richiesta del contribuente e dal tenore della risposta fornita.

 

In particolare, con riferimento ai nuovi interpelli antiabuso, per i quali il contribuente dovrà individuare puntualmente sia le norme di riferimento che i settori impostivi rispetto ai quali l’operazione pone dubbi, la risposta dell’amministrazione produce effetto esclusivamente in relazione alle questioni sollevate dal contribuente con riferimento a uno specifico comparto e a determinate disposizioni di legge, con la conseguenza che non saranno precluse possibili contestazioni della medesima operazione a diversi fini impositivi.

 

Infine, resta confermato che la risposta produce gli effetti tipici dell’interpello soltanto per il contribuente istante, anche nel caso in cui la risposta sia resa pubblica mediante risoluzione o circolare in quanto, mentre per il destinatario della risposta i chiarimenti determinano la nullità degli impositivi e/o sanzionatori difformi, per la generalità dei contribuenti si configura l’ipotesi di cui all’articolo 10, comma 2, dello Statuto, secondo cui, ferma restando la debenza del tributo, “non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima…”.

 

Un’altra significativa novità in tema di rapporti tra istanze di interpello e attività di accertamento dell’amministrazione riguarda le ipotesi in cui sia stata presentata istanza di interpello disapplicativo obbligatorio. Il decreto prevede, ai fini della contestazione, una procedura di accertamento “aggravata”, costruita secondo il modello delle contestazioni di abuso del diritto (articolo 10-bis dello Statuto).

 

Qualora il contribuente abbia presentato istanza di interpello disapplicativo obbligatorio, salvi i casi di inammissibilità della stessa, l’amministrazione è tenuta a seguire la seguente procedura:

 

 

  1. obbligo di contestazione “separata” dell’indebita fruizione del componente negativo di reddito (deduzione, detrazione, credito d’imposta) o di altra posizione soggettiva, senza pregiudizio dell’ulteriore azione di accertamento
  2. necessità di notificare, ai sensi dell’articolo 60 del Dpr 600/1973 ed entro il termine ordinario di decadenza previsto per l’emanazione dell’atto impositivo, una richiesta di chiarimenti volta ad attivare un contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio, “a pena di nullità” dell’atto impositivo
  3. concessione al contribuente di un termine (sessanta giorni) entro cui fornire eventuali deduzioni difensive
  4. proroga del termine ordinario di decadenza dell’azione di accertamento collegato tanto alla facoltà di contraddittorio endoprocedimentale tanto al tempo considerato fisiologico per l’analisi, da parte dell’amministrazione, delle eventuali deduzioni difensive addotte (la proroga, in particolare, opera sia nel caso in cui i chiarimenti siano forniti sia nell’ipotesi in cui sia scaduto inutilmente il termine a disposizione del contribuente)
  5. obbligo di motivare, a pena di nullità, l’eventuale atto impositivo anche alla luce dei chiarimenti forniti dalla parte (motivazione “rafforzata”).

 

 

Gli effetti della risposta all’interpello sul contenzioso

 

Oltre al coordinamento con la fase di accertamento, il Dlgs 156/2015 si occupa anche del raccordo con le norme sul contenzioso, in particolare in relazione alla impugnabilità delle risposte rese agli interpelli. Le modifiche apportate allo Statuto hanno espressamente previsto che “la risposta alle istanze di interpello di cui all’articolo 11” dello Statutonon è impugnabile”, confermando il consolidato orientamento dell’amministrazione (cfr, da ultimo, circolare 32/2010), teso a negare tutela giurisdizionale (sia dinanzi al giudice tributario che davanti a quello amministrativo) avverso le risposte a istanze di interpello, conformemente alla loro natura di “pareri” (e quindi di atti privi dei caratteri necessari per la loro immediata ricorribilità in giudizio) e alle regole di istruttoria che non attribuiscono mai all’amministrazione poteri in ordine alla verifica della completezza e veridicità delle informazioni fornite dall’istante.

 

Ferma restando la non espressa inclusione delle risposte all’interpello nel novero degli atti impugnabili ai sensi dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992, appare determinante rispetto al tema in esame che la risposta resa in sede di interpello non presenta i requisiti minimi per l’impugnabilità, dal momento che non è esercizio di un potere autoritativo con il quale si esercita una pretesa fiscale, ma ha natura meramente consultiva. L’Amministrazione finanziaria esprime il proprio parere esclusivamente sulla base dei documenti prodotti dal contribuente in sede di presentazione dell’istanza. Il carattere non vincolante del parere reso in questa fase, direttamente desumibile dalla natura consultiva dell’attività svolta dall’Amministrazione, qualifica la risposta all’interpello come atto amministrativo non provvedimentale che, in quanto privo dei requisiti di esecutività (non produce automaticamente e immediatamente effetti) ed esecutorietà (non impone coattivamente l’adempimento di alcun obbligo), risulta carente delle caratteristiche che potrebbero determinare una lesione dei diritti dell’istante, suscettibile di immediata tutela giurisdizionale.

 

In tal senso, sulla questione dell’autonoma impugnabilità delle risposte rese in sede di interpello, si è già espressa anche la Corte costituzionale, con la sentenza 191/2007, e il Consiglio di Stato, con decisione 414/2009, che ha escluso espressamente la possibilità di assimilare il parere negativo alla disapplicazione della norma a un provvedimento di diniego di agevolazione (e, quindi, direttamente impugnabile innanzi al giudice tributario a norma dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992), aggiungendo inoltre che “in nulla è pregiudicato il diritto (…) di impugnare, tempestivamente e a tempo debito, gli eventuali atti rientranti nella previsione dell’art.19 d.lgs. nr. 546 del 1992, nei quali dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato (…)”.

 

Le predette conclusioni riferite alle istanze di disapplicazione previste dalla previgente disciplina valgono anche in relazione alle risposte alle nuove istanze disapplicative obbligatorie per le quali il Dlgs 156/2015 prevede la possibilità di proposizione del ricorso solo in via successiva, “unitamente all’atto impositivo”, che costituisce il primo atto lesivo della posizione giuridica del contribuente, suscettibile di tutela giurisdizionale immediata e diretta.

 

Resta confermata la non impugnabilità delle risposte a interpelli inammissibili, che non contengono alcun chiarimento di merito in ordine alla fattispecie rappresentata dal contribuente.

 

Segnalazioni

 

Una delle più significative novità del decreto consiste nella eliminazione di diverse forme di interpello obbligatorio in ragione dell’eccessiva onerosità dell’adempimento del contribuente in relazione ai benefici garantiti all’amministrazione e nella conservazione di detto carattere solo per gli interpelli disapplicativi. Per evitare il rischio di un generale affievolimento del presidio dell’amministrazione su talune situazioni che restano comunque connotate da profili di peculiare pericolosità, in contropartita alla eliminazione dell’obbligo di presentazione dell’interpello, il legislatore ha introdotto un obbligo di segnalazione in dichiarazione, finalizzato a consentire comunque la “disclosure” del contribuente che non abbia presentato istanza di interpello o che, pur avendola presentata, non si sia adeguato alla risposta negativa fornita dall’amministrazione.

 

La segnalazione riguarda:

 

 

  • in alcuni casi, l’avvenuta presentazione dell’istanza o meno (interpelli articolo 124, comma 5, Tuir, per la prosecuzione del consolidato nazionale, interpelli articolo 132 del Tuir di accesso al consolidato mondiale, interpelli delle società non operative e in perdita sistematica, sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini Irap e Iva
  • in altri casi, più puntuali indicazioni previste direttamente dalla norma. Così, per le istanze collegate alla detenzione di partecipazioni in Paesi a fiscalità privilegiata, è prevista l’indicazione della percezione di utili (articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, Tuir), della percezione di plusvalenze derivanti dalla cessione delle predette partecipazioni (articoli 68, comma 4, e 87, comma 1, lettera c), Tuir) e della mera detenzione di partecipazioni; è altresì prevista l’indicazione della detenzione della partecipazione in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata o in Stati appartenenti all’Unione europea o aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni al ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 8-bis dell’articolo 167
  • in altri casi ancora, oltre alla circostanza che sia stata o meno presentata l’istanza di interpello, una serie di ulteriori elementi informativi individuati dal provvedimento di approvazione del modello Unico Sc 2016 (per le istanze di cui all’articolo 113 del Tuir, devono essere indicati nel rigo RF 122 anche l’ammontare dei componenti negativi dedotti e l’ammontare dei crediti convertiti, specificando se trattasi di azioni e/o strumenti partecipativi; per le istanze relative alla disciplina Ace, al rigo RS115, l’ammontare totale dei conferimenti in denaro ex articolo 10, comma 2, del decreto 14 marzo 2012 e l’ammontare di quelli che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei corrispettivi per l’acquisizione o l’incremento di partecipazioni ex articolo 10, comma 3, lettera a), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei corrispettivi che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei corrispettivi per l’acquisizione di aziende o di rami d’aziende ex articolo 10, comma 3, lettera b), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei corrispettivi che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei conferimenti in denaro ex articolo 10, comma 3, lettera c), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei conferimenti che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei conferimenti in denaro ex articolo 10, comma 3, lettera d), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei relativi conferimenti che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio).

 

 

Trattamento sanzionatorio

 

Il sistema sanzionatorio è stato conseguentemente modificato per individuare fattispecie sanzionatorie specificamente correlate alle novità introdotte in sede di interpello, in particolare in relazione all’obbligo di presentazione dell’interpello disapplicativo e agli obblighi di segnalazione di cui si è trattato in precedenza. Il nuovo comma 7-ter dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997 prevede che la mancata presentazione dell’istanza obbligatoria è punita con una sanzione amministrativa ricompresa tra 2mila e 21mila euro; la medesima sanzione è applicata in misura raddoppiata qualora l’amministrazione, in sede di accertamento, disconosca la spettanza della disapplicazione.

 

Con riferimento alla mancata segnalazione degli elementi richiesti, i nuovi commi 3-ter, 3-quater e 3-quinquies dell’articolo 8 del Dlgs 471/1997 prevedono:

 

 

  • l’irrogazione di una sanzione amministrativa pari al 10% dei dividendi e delle plusvalenze conseguiti dal soggetto residente e non indicati, con un minimo di 1.000 euro e un massimo di 50mila euro, quando l’omissione o l’incompletezza della segnalazione riguarda le componenti di cui agli articoli 47, comma 4, 68, comma 4, 87, comma 1, lettera c) e 89, comma 3, del Tuir
  • l’irrogazione di una sanzione amministrativa pari al 10% del reddito conseguito dal soggetto estero partecipato e imputabile nel periodo d’imposta, anche solo teoricamente, al soggetto residente in proporzione alla partecipazione detenuta, con un minimo di 1.000 euro e un massimo di 50mila euro (per espressa previsione di legge, la sanzione nella misura minima si applica anche nel caso in cui il reddito della controllata estera sia negativo) quando l’omissione o l’incompletezza della segnalazione riguarda la detenzione di partecipazione di cui all’articolo 167 del Tuir
  • l’irrogazione di una sanzione fissa di importo compreso tra 2mila e 21mila euro per tutte le altre segnalazioni.

 

 
Per le sanzioni di cui ai commi 3-ter e seguenti dell’articolo 8, il contribuente può attivarsi per la correzione dell’errore e/o dell’omissione, attivando l’istituto del ravvedimento operoso già entro 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera a-bis), del Dlgs 472/1997.