pensioniiiLa previdenza sarà sempre piu’ un miraggio per i giovani lavoratori e chi la agguanterà – ad un’età media di 68 anni – avrà assegni mediamente intorno ai 750-800 euro. Poco piu’ della pensione sociale. E’ quanto emerge dal secondo Rapporto sul «Bilancio del sistema previdenziale italiano», un documento che offre una visione d’insieme del complesso sistema previdenziale del Paese, curato da Itinerari Previdenziali, l’associazione presieduta da Alberto Brambilla.

 

I giovani di oggi vedranno sparire una complessa serie di tutele di cui oggi godono i padri, sottolinea Brambilla: «Occorre infatti considerare che per coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 non sono più previste né le integrazioni al minimo né le maggiorazioni sociali di cui oggi usufruiscono circa 6 milioni di pensionati su 16,5 milioni, cioè più del 36% del totale». E questo elemento dovrebbe essere tenuto in conto quando si ragiona sui tassi di sostituzione, ovvero su quanto si otterrà come prima pensione in percentuale dell’ultimo stipendio, insieme a due altri fattori. Ovvero la crescita del pil dell’Italia e la dinamica della carriera del lavoratore. Infatti il montante di ciascun lavoratore è rivalutato nel contributivo ogni anno in base alla media del pil degli ultimi cinque anni. Il Rapporto di Itinerari previdenziali rileva che, secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, i tassi di sostituzione attesi paiono più che buoni; si va dal 73 al 79% per i dipendenti e dal 64 al 71% per i lavoratori autonomi, con un minimo del 60% per carriere importanti.

 

Numeri vicini a quelli che ha assicurato finora il sistema di calcolo retributivo della pensione, perché la legge Fornero ha posticipato l’età della pensione. Ma sono numeri basanti su ipotesi poco realistiche. «È un dato confortante e tra i più elevati tra i Paesi industrializzati. Ma queste proiezioni considerano una crescita reale del pil dell’1,57%, un’inflazione del 2% e una crescita delle retribuzioni individuali reali dell’1,51%, con produttività in crescita dell’1,53% annuo», si legge nel rapporto.

 

L’analisi di Itinerari Previdenziali sottolinea che «dal 2008, anno d’inizio della grande crisi, a fine 2014 avremmo dovuto avere una crescita reale del pil del 10,9%, sulla base della legge Dini che prevede una crescita reale annua dell’1,5%, e ancor più alta sulla base delle ipotesi della Ragioneria generale dello Stato sopra indicate. Invece la rivalutazione in termini reali dei montanti contributivi è stata addirittura negativa, per il 4,5%, e quindi la rivalutazione dei contributi versati è stata in realtà del 16%».

 

Un dato inquietante che peserà sulle future pensioni pubbliche, e che può richiedere molti anni per essere riassorbito, date le deboli prospettive dell’economia italiana. «I tassi di sostituzione che nell’ipotesi di un pil in crescita dell’1% scendono di poco rispetto a quelli della Ragioneria, nella proiezione basata su una crescita dello 0,5% decadono in modo evidente di circa l’8% per i dipendenti e del 6,8% per gli autonomi», stima il Rapporto.

 

Le cose non vanno meglio per le retribuzioni individuali, che da tempo crescono poco meno dell’1,51% previsto e a volte persino si riducono, con modeste prospettive di crescita nei prossimi anni. «Il combinato disposto di quanto detto determina due conseguenze», conclude il Rapporto. «I veri tassi di sostituzione andranno rivisti al ribasso e i redditi e salari su cui calcolare queste prestazioni saranno bassi. In media, per il grosso dei lavoratori, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate non andranno oltre i 1.100 euro al mese. Il 70% di 1.100 euro sono 770 euro, cioè poco più della pensione minima». In pratica stiamo garantendo una pensione di poco superiore all’assegno sociale a gente che ha lavorato per almeno 20-30 anni. Prestazioni piu’ elevate possono essere centrate solo da lavoratori che hanno la massima anzianità contributiva, una circostanza sempre meno probabile per il futuro dato che il diffondersi del precariato sta determinando per molti dei buchi contributivi, che ridurranno l’assegno pubblico”.

 

L’unica tutela, per chi puo’ permettersela, è quella di accumulare dei risparmi per la pensione o in proprio oppure ricorrendo a dei fondi di previdenza complementare. «Purtroppo, in Italia lo sviluppo della previdenza complementare ha avuto l’andamento del gambero con progetti ambiziosi e arretramenti pericolosi», sottolinea Brambilla nel suo Rapporto, «è quanto accaduto con la legge di Stabilità 2014 che per favorire i consumi consente di mettere il Tfr nelle buste paga dei lavoratori, oltre ad aver aumentato la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione».