Si è svolto martedì 19 gennaio, presso la facoltà di Economia della Sapienza, il primo incontro dell’ottavo ciclo di seminari “Economia Sapienza”.
Verso una nuova riforma dell’Università?, questo il tema dell’incontro, coordinato da Michele Raitano, ricercatore di Politica Economica alla Sapienza, cui sono intervenuti Alessandro Schiesaro, docente della Sapienza e membro del Comitato nazionale dei garanti per la ricerca, Francesco Sinopoli, Segretario nazionale FLC CGIL e Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari, per discutere dello stato e delle prospettive del sistema universitario nazionale. A sorpresa anche un intervento non previsto, ma certamente utile a comprendere l’orientamento di almeno alcuni ambienti governativi.
Quale modello di università vogliamo, è la domanda da cui sono partiti tutti. La crisi profonda, lo stato emergenziale in cui versa da diversi anni, il remare contro da parte dello Stato e dei precedenti Governi non rende purtroppo facile quest’argomentazione, né semplice trovare una via d’uscita. Quello che però tutti sembrano volere è rimettere al centro il sistema conoscenza, senza il quale la stessa società è perduta.
Ma come fare, se i finanziamenti negli anni hanno solo sfiorato il Fondo Ordinario per l’Università, senza mai toccarlo davvero? Se dal tracollo disastroso del 2009 non siamo più tornati indietro?
“Siamo in un regime di definanziamento prolungato – ha dichiarato nel suo intervento Alessandro Schiesaro. La sfiducia dei Governi nei confronti della nostra università è sconcertante”. Forse perché l’Università ha avuto la sua occasione nello sfruttamento dell’autonomia concessagli, e l’ha sprecata, certo. “Ma è forse questo un buon motivo per delegittimarla e toglierle tutti i fondi?” ha ribattuto Francesco Sinopoli subito dopo. Siamo di fronte a scelte politiche precise ben esplicitate dalle scelte fatte nel 2008 e proseguite negli anni successivi. Una palla di neve, un girotondo che va fermato. “È come se in questi anni il sistema universitario avesse subito il passaggio di un vero e proprio tsunami – ha continuato Gianfranco Viesti – riducendosi di 1/5. È una cosa che non era mai successa in nessun paese al mondo. Un cambiamento epocale, che va fermato subito”.
Insomma, sono aumentate le tasse e si è compresso il diritto allo studio: l’università è diventata, pian piano, sempre più di classe. Verso quale modello stiamo andando? Verso un modello di differenziazione territoriale? Sembra di sì, e non è esattamente quello che vogliamo.
Non è quello di cui la società ha bisogno. Però è esattamente questo quello che hanno portato le scelte politiche avventuristiche e sconsiderate degli ultimi anni. “E’ un’assurdità comprimere il sistema universitario: eppure è proprio questa la direzione della classe dirigente.”
Il tentativo che si sta facendo è, evidentemente, quello di ridurre l’investimento in conoscenza. Probabilmente perché è lo stesso sistema produttivo a ritenerlo inutile. In fondo il sistema sta dimostrando che non gli occorrono persone istruite: attualmente i nostri laureati o non lavorano o sono schiavi della precarietà.
“Occorrerebbe una discussione pubblica e partecipata – ha affermato Sinopoli, in conclusione – un dibattito serio che meriterebbe l’attenzione dei grandi media sulla crisi pianificata del nostro sistema universitario. L’università è un grande infrastruttura immateriale fondamentale per uno sviluppo fondato sul rafforzamento dei diritti di cittadinanza e sull’innovazione”.
L’intervento del consigliere di Palazzo Chigi Marattin ha chiarito le intenzioni di almeno un certo ambiente governativo: le università devono competere per le risorse e gli studenti, in quanto soggetti di mercato. La differenziazione tra atenei è inevitabile. Inutile guardare al passato (!).
Distanze siderali ci separano da questa visione con la quale già facciamo i conti visto che le scelte degli ultimi anni anche senza averlo esplicitato attraverso meccanismi tecnici stanno portando nei fatti ad un disarticolazione del sistema universitario nazionale.
Diritto allo studio, più investimenti, in poche parole, sbloccare l’ascensore sociale che si è fermato da tempo e ricostruire daccapo l’Università che tutti vogliamo: pubblica, di tutti e per tutti. La direzione è evidentemente opposta.