Ancora una volta è il Sud a essere maggiormente colpito dai tagli del Governo: stavolta si fa riferimento alle “sforbiciate” sui servizi all’infanzia e agli asili nido.
Il Piano Strutturale di Bilancio (PSB) 2025-2029 inviato, dal Governo italiano, alla Commissione europea, prevede una significativa riduzione relativamente alla copertura dei servizi educativi per la prima infanzia, riducendo la percentuale di copertura minima dal 33% al 15% su base regionale. Questo provvedimento ha sollevato preoccupazioni tra le associazioni di categoria, come la rete EducAzioni, i sindacati come la Cgil, nonché le amministrazioni locali, in particolare nel Sud Italia, dove le disuguaglianze territoriali nei servizi per l’infanzia sono più evidenti.
L’evoluzione del LEP in materia di accesso agli asili nido
Originariamente, la legge di bilancio 2022, all’art. 1 co. 172 fissava il “Livello Essenziale delle Prestazioni” (LEP) per l’accesso agli asili nido alla soglia del 33% su base locale. La norma richiamata disponeva che il raggiungimento del LEP doveva avvenire in modo graduale, partendo dai Comuni con un livello del servizio inferiore al 28,88% dei posti. A tale scopo, venivano stanziate risorse crescenti di anno in anno, partendo da una base di 120 milioni per il 2022 fino a 1.100 milioni annui a decorrere dal 2027. La legge di bilancio fissava al 2027 la data entro cui raggiungere la soglia del 33% su base locale.
Ebbene, il PSB 2025-2029 ridimensiona questo target, stabilendo che, a livello regionale, la copertura necessaria è ridotta a un minimo del 15%, il che rischia di mantenere il Mezzogiorno su livelli di servizio significativamente inferiori rispetto al resto d’Italia.
Forte la critica delle opposizioni, le quali sostengono che, permettendo alle Regioni di stabilire un obiettivo ridotto al 15%, il governo potrebbe considerare raggiunto l’obiettivo nazionale del 33% anche qualora le sole regioni del Nord riescano a superare quel limite.
A preoccupare è il fatto che tale revisione possa aumentare ulteriormente il divario tra Nord e Sud, lasciando il Mezzogiorno con infrastrutture per l’infanzia e risorse insufficienti. Il sindacato Flc-Cgil Sicilia, per esempio, ha criticato aspramente la decisione del governo, ritenendola una scelta politica che danneggia ulteriormente le prospettive educative e di sviluppo per le famiglie meridionali.
Gli obiettivi fissati dall’Europa
L’obiettivo fissato dalla normativa europea, che prevede una copertura pari al 45% per i servizi educativi per l’infanzia da raggiungere entro il 2030, sembra sempre più lontano. I sindaci delle regioni meridionali esprimono forti preoccupazioni, poiché temono che le strutture già esistenti o la cui costruzione è in programma con l’impiego dei fondi del PNRR possano risultare insostenibili per mancanza di fondi di gestione. Infatti, tale misura è in netto contrasto con gli obiettivi fissati nel PNRR, il quale prevedeva la realizzazione di ben 150.000 nuovi posti di asilo nido. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che si proponeva di espandere l’offerta educativa in tutto il Paese, aveva concentrato inizialmente gli interventi nelle aree con carenze maggiori, ma le modifiche apportate nel PSB sembrano prevedere esattamente il contrario.
L’allegato VI del PSB (Tabella A VI.4) prevede infatti che solo il 15% dei bambini sotto i tre anni avrà accesso ai posti in asilo a livello regionale, rispetto al 33% indicato nella legge di bilancio 2022. Tale decisione potrebbe limitare le opportunità per bambini e famiglie, accentuando ulteriormente la percezione che il Sud Italia sia una “palla al piede” del Paese in termini di sviluppo socioeconomico, con sindaci e rappresentanti delle associazioni che chiedono un piano di assunzioni straordinario e chiarimenti sul destino dei fondi stanziati.
Questa decisione ha sollevato una serie di domande: la rete EducAzioni, il PD e altri esponenti politici chiedono al governo chiarimenti sulla destinazione dei fondi risparmiati dalla riduzione della copertura e sull’effettiva volontà di perseguire gli obiettivi fissati per il 2027.
I tagli ai servizi per gli asili nido del Governo affondano il Sud
Tanto premesso, varie sono le criticità derivanti dalla decisione del governo, con possibili e importanti riflessi sul piano sociale, economico e territoriale.
Aumento del divario territoriale
La prima criticità attiene al possibile aumento del divario tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. La riduzione della soglia minima di copertura per i servizi all’infanzia al 15% su base regionale rappresenta una potenziale minaccia alla coesione territoriale e alle pari opportunità, soprattutto nel Sud Italia, dove i servizi sono già carenti rispetto al Nord. Il rischio è quello di limitare le opportunità per i bambini del Mezzogiorno, penalizzando al contempo le famiglie che vivono in queste aree.
Inoltre, la riduzione prevista nel PSB si pone in contrasto con gli impegni previsti dal PNRR e con l’obiettivo europeo di una copertura del 45% dei servizi educativi per l’infanzia, da raggiungere entro il 2030. Il PNRR, infatti, ha previsto la creazione di nuovi posti in asili nido per ridurre le disuguaglianze territoriali e migliorare l’accesso all’istruzione fin dalla prima infanzia.
La denatalità crescente
Tale taglio alla copertura degli asili nido arriva, tra l’altro, in un momento storico in cui, nel nostro Paese, è particolarmente vivo il problema della denatalità. Secondo i dati Istat pubblicati alcuni giorni fa, nel 2023 i nuovi nati sono 379.890, circa 13mila in meno rispetto al 2022, con una riduzione quindi del 3,4%. Secondo l’Istat si tratta di un problema cronico, dal momento che, rispetto al 2008 (quando il numero dei nuovi nati superava la soglia di 576.000), si riscontra una perdita complessiva di 197.000 unità (-34,1%).
Inoltre, la riduzione della copertura potrebbe avere un effetto disincentivante sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, specie nelle regioni con un tasso di occupazione femminile già basso.
Italia sempre più a “due velocità”
In conclusione, la scelta del governo di ridurre la copertura dei servizi educativi per la prima infanzia dal 33% al 15% su base regionale appare una misura che potrebbe ampliare le disuguaglianze territoriali, penalizzando in particolare il Sud Italia e compromettendo i principi di coesione sociale.
Tale riduzione non solo si pone in netto contrasto con gli obiettivi previsti dal PNRR e dalle normative europee, ma rischia anche di accentuare problematiche già gravi come la denatalità e la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Questi fattori, nel complesso, sollevano dubbi sulla sostenibilità, nel lungo periodo, di una politica che sembra non favorire lo sviluppo equo del Paese.