Anche se la lingua italiana figura tra le prime 20 più parlate nei cinque Continenti e al quarto posto tra quelle richieste, la spending review imposta dal Ministero degli Affari Esteri provocherà la perdita immediata di circa 22mila studenti nel mondo della nostra lingua e l’annullamento di svariate decine di corsi universitari. I lettorati stanno subendo la stessa sorte delle scuole e sezioni italiane, che dopo le soppressioni di svariate sedi si sono ridotte a 150 in Europa e a meno di 300 in tutto il mondo.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): queste operazioni penalizzano l’utenza e la cultura italiana. Ma anche i docenti supplenti, cui si continua a negare la piena indennità di sede e oggi anche la stabilizzazione, attraverso un ddl sulla Buona Scuola che non li contempla. Per non parlare di tutto personale scolastico, cui si continua a erogare uno stipendio fortemente più basso rispetto a quello dei colleghi dei Paesi dove operano.
La formazione italiana nel mondo è fondamentale per l’allargamento dell’identità culturale italiana in tutti i Continenti. Peccato che gli effetti dei tagli all’istruzione non risparmi nemmeno questo comparto, che dopo le scuole si vede ora provare di decine di lettorati. Per l’anno scolastico in arrivo, il 2015/16, il Ministero degli Affari Esteri si appresta infatti a tagliare ben 57 lettorati di Lingua e Letteratura Italiana nelle Università straniere. Con l’immediato effetto, già da settembre 2015, si legge sulla stampa specializzata, di perdere “circa 22 mila studenti nel mondo della nostra lingua e letteratura” e di assistere “all’annullamento di svariate decine di corsi universitari”.
Quella che si sta realizzando, riporta la rivista ‘Orizzonte Scuola’, è “una grande perdita per la Diffusione della Lingua e Cultura Italiana nel mondo, a livello accademico, se l’attuale proposta di distribuzione dei 148 tagli del contingente complessivo rimanesse immutata”. Secondo recenti dati statistici emessi dal MAE, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, solo nel 2013 i 176 docenti di ruolo MIUR, lettori in missione MAE in Università straniere, hanno attirato un’utenza di oltre 69 mila studenti diversi in tutto il mondo, con un rapporto medio quindi di 1 docente a circa 300 studenti diversi di Lingua Letteratura Italiana, considerando che si tratta di corsi universitari suddivisi in due semestri per anno accademico durante il quale il lettore svolge in totale mediamente quattro corsi.
Anief ricorda che le linea dei tagli delle istituzioni scolastiche e formative all’estero, ora anche dei lettorati, è stata intrapresa da tempo: i tagli derivanti dalla spending review hanno ridotto progressivamente il numero di corsi e di docenti in servizio fuori dall’Italia, penalizzando l’alta domanda e l’allargamento dell’identità culturale italiana in tutti i continenti. In Europa, le scuole e sezioni italiane sono 150, quelle in tutto il mondo sfiorano quota 300: sono istituti scolastici, dall’infanzia alle superiori, frequentati da oltre 30mila alunni, con 350 docenti e 500 insegnanti esperti di corsi di lingua e cultura italiana che vi operano. La loro caratteristica è quella di rivolgersi ad una utenza “mista”, composta da alunni italiani e stranieri, e di proporre le lezioni sia in lingua italiana sia nella lingua locale.
E il loro apporto è fondamentale, perché la lingua italiana figura tra le prime 20 più parlate al mondo e al quarto posto tra quelle più richieste. Ignorando questi dati, un gravissimo errore fu fatto anche due anni fa dal premier Mario Monti, che includesse, all’interno della politica dei risparmi pubblici, anche i tagli ai corsi e alle docenze all’estero. Mentre ancora si attende una norma che permetta almeno agli istituti di Cultura di organizzare dei corsi scolastici on line di lingua e cultura italiana rivolti ai nostri connazionali all`estero, ma anche a coloro che sono interessati ad imparare l’italiano.
Come se non bastasse, nei centri formativi statali all’estero le penalizzazioni riguardano non solo l’utenza. Ma anche i docenti supplenti che operano nelle scuole estere del MaE, a cui il Miur nega la stabilizzazione (nel ddl della Buona Scuola non c’è traccia di questa come di tante altre categorie di precari), costringendo anche loro a rivolgersi al giudice del lavoro per ottenere la stabilizzazione mai presa in considerazione dal Governo.
Contro i supplenti, poi, non dimentichiamo che continua ad essere assegnata un’indennità straordinaria inglobata nello stipendio tabellare, producendo nei loro confronti una “indennità di sede” praticamente dimezzata. E ciò malgrado si tratti di una quota – non quantificabile perché legata ad un coefficiente che varia sulla base di vari criteri, come la distanza da casa, la pericolosità della zona dove si opera, il costo e la qualità della vita – da assegnare per contratto a tutti coloro che non sono residenti.
“A sostenere questa tesi – ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – sono stati anche diversi giudici, che hanno emesso sentenze favorevoli ai precari ricorrenti impegnati all’estero: seconda tali dispositivi dei tribunali, quindi, è illegittimo l’attuale trattamento economico applicato dal MAE nei confronti del personale supplente, proprio perché non viene erogata nei loro confronti l’indennità di sede: i giudici hanno spiegato che in questo modo viene violata la parità di trattamento sancita dalla giurisprudenza comunitaria, senza alcun ragione oggettiva tale da dissuadere per mesi la nomina di supplenti con gravi pregiudizi per gli studenti. Inoltre, viene meno il principio della parità retributiva, un concetto di equiparazione tra l’altro ribadito nella sentenza della Corte di Giustizia europea di fine novembre”.
Ma il gap non riguarda solo gli stipendi dei supplenti. Perché il lento e inesorabile depauperarsi delle buste paga dei docenti italiani, ferme dal 2009 e ormai sotto l’inflazione, ha reso più acuta la discrasia tra i loro gli stipendi e quelli dei colleghi degli altri Paesi moderni dove operano. Oggi un insegnante tedesco delle superiori può arrivare a uno stipendio lordo massimo di 63.985 euro all’anno. Un collega che insegna nel Lussemburgo fino a 125.671 euro. In Italia, invece, gli insegnanti delle superiori appena assunti percepiscono 24.669 euro, mentre a ridosso della pensione si vedono assegnare al massimo 38,745 euro. Il collega francese, che tra l’altro può andare in pensione a 62 anni con l’assegno ‘pieno’, ha lo stipendio iniziale pari a 25.228 euro e a fine carriera può arrivare a 47.477 euro, che corrispondono a circa 9mila euro in più rispetto agli italiani. Che poi sono quelli che a fine anno mancano al nostro corpo docente per allinearsi alla media Ocse.