orologi daliL’adozione della settimana corta è il frutto di un iter che deve coinvolgere gli organi collegiali, ognuno con gli specifici compiti di competenza.


 

Il principio del coordinamento tra gli organi collegiali

 

L’adozione della settimana corta costituisce per le scuole, in regime di autonomia, una possibilità organizzativa, essendo tra l’altro tale opportunità ricavabile dall’art.4 del DPR n.275 del 1999 ove è appunto sancito il principio della flessibilità oraria (“le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune”).

 

La sua adozione richiede però in via ordinaria una consultazione di tutti gli organi collegiali che governano sotto diversi profili la scuola.

 

E’ lo stesso art.16 del Regolamento sull’autonomia (DPR 275/1999) a sottolineare la necessità di un coordinamento delle competenze che deve perciò realizzarsi con l’apporto di tutti soggetti che a vario titolo partecipano alla vita della scuola.

 

La Circolare 105 del 1975 all’art.3 già allora rimarcava il ruolo coordinato dei diversi organi collegiali, “ciascun organo collegiale opera in forma coordinata con gli altri organi collegiali che esercitano competenze parallele, ma con rilevanza diversa, in determinate materie. Ai fini di cui al precedente comma si considerano anche le competenze, in materia definite, di un determinato organo quando il loro esercizio costituisca presupposto necessario od opportuno per l’esercizio delle competenze di altro organo collegiale”.

 

Gli organi responsabili

 

Non v’è dubbio che in primis i due organi responsabili all’adozione della settimana corta siano il consiglio di istituto e il collegio dei docenti, entrambi detentori di potere deliberante ed incisivo sulla sull’organizzazione e sul funzionamento didattico. Nel caso in specie il consiglio di istituto ai sensi dell’art.10 del D.Lgs. 297 del 1994 si occupa della programmazione della vita e dell’attività della scuola, mentre il collegio dei docenti, ex art.7 del decreto succitato, ha potere deliberante sul funzionamento didattico; le competenze dei due organi su tali materie sono funzionali al buon andamento del servizio scolastico ed equamente significative.

 

L’iter corretto

 

La consultazione dei predetti organi è senza dubbio il primo passo da realizzare. Nel corso delle sedute, nella definizione della delibera di adozione o meno della settimana corta, è opportuno individuare le posizioni emergenti dai due organi, non dimenticando che il consiglio di istituto è l’organo di indirizzo e di controllo della scuola e il collegio dei docenti è al contrario l’organo tecnico-didattico. Si tratta comunque di funzioni parimenti significative; nel caso del collegio docenti, le decisioni e le motivazioni devono pur considerare l’incidenza che la scelta della settimana corta, strutturata su cinque giorni, produrrebbe sugli alunni, perciò occorre più che mai tener conto delle esigenze dei soggetti apprendenti.

 

Da ciò si ricava che l’iter di adozione parte dal consiglio di istituto chiamato a dettare ex art.10 del D.Lgs. 297 del 1994 i criteri generali per la programmazione educativa; il comma 4 (art.10) indica un’altra competenza: la definizione dei criteri dell’orario delle lezioni; di seguito il collegio dei docenti, ex art.7 dello stesso decreto richiamato, formula proposte al direttore didattico o al preside (…) per la formulazione dell’orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal consiglio di circolo o d’istituto. Come stabilito nel comma 3 dell’art.7 il collegio dei docenti “nell’adottare le proprie deliberazioni (…) tiene conto delle eventuali proposte e pareri dei consigli di intersezione, di interclasse o di classe”. Il passaggio dal collegio dei docenti per la trattazione dell’argomento è obbligato e necessita di essere attuato giacché il consiglio di istituto non potrebbe adottare unilateralmente la settimana corta. In questo caso l’esercizio delle competenze dei due organi è essenziale.

 

Sulla questione dei sondaggi e della consultazione degli altri stakeholder

 

La consultazione delle famiglie si iscrive nell’alveo della compartecipazione alla vita della scuola e non può quindi essere disattesa ai fini di una corretta procedura, tuttavia questo deve avvenire in modo equilibrato, difatti la sentenza 466 del 15 giugno 2000 del TAR Umbria ha sottolineato che tale forma di partecipazione non deve essere interpretata in modo eccessivamente estensivo; secondo il giudice essa “non può essere intesa in senso letterale”, poiché in siffatto modo si produrrebbe una “assoluta ingovernabilità del procedimento”. I sondaggi utilizzati nel processo di definizione del nuovo assetto organizzativo si rivelano utili per favorire la partecipazione dei soggetti interessati.