Dal Disegno di Legge “la Buona Scuola” si evidenzia un modello di scuola di tipo aziendalistico con un dirigente/imprenditore che progetta, programma e gestisce ogni cosa per garantire produttività, efficienza, competitività, profitto e meritocrazia funzionale alla concorrenza.
A questo proposito in cinque anni verrà elargito ben un miliardo di fondi pubblici alle scuole paritarie per renderle concorrenziali a quelle statali. Per questo molte delle offerte formative sono e saranno a pagamento senza garanzia di continuità e qualità.
E’ la fine della scuola pubblica e la nascita della scuola/azienda che guarda alle esigenze di mercato e sforna lavoratori e non cittadini. Il modello vincente non è quello democratico basato sulle decisioni collegiali (insegnanti, genitori, studenti) ma quello dirigistico in cui un preside dai “superpoteri” non controlla più solo le attività amministrative e il personale ma decide sulle attività aggiuntive e sulle scelte didattiche che erano prerogativa del collegio dei docenti.
Il preside valuta le metodologie didattiche e i risultati che il singolo insegnante ottiene distribuendo compensi accessori senza che vengano determinati i criteri né i metodi di attribuzione. Si può dire che tutti i dirigenti hanno le competenze didattiche (studi di pedagogia, didattica, docimologia) per tale compito? Altrettanto non si può dire dei ministri dell’istruzione che abbiamo sin’ora avuto, né della Commissione Cultura che insieme al governo prende decisioni sulla scuola.
Il preside decide l’assunzione dei nuovi docenti sulla base di un albo provinciale in cui andranno a finire tutti gli insegnanti di serie zeta ossia tutti i neoassunti , coloro che avranno perso posto nella scuola di appartenenza e tutti quelli che desiderano un trasferimento in un altro ambito territoriale. Significa dividere i docenti in due caste, anche a causa della distinzione tra organico comune (gli insegnanti “veri” con cattedra) e l’organico funzionale che farà tutto il resto a cominciare dalle supplenze. Come sceglierà il dirigente? Anche qui nessun criterio definito se non i curricula degli insegnanti e le effettive disponibilità (se non ci sono insegnanti di matematica si prenderanno quelli rimasti di geografia). La “scuola che vorrei” che il governo ci ha propagandato, diventerà pertanto la “scuola che avrò”; una scuola che non terrà conto delle competenze, delle abilitazioni dei docenti, andando così a scapito della didattica, quindi degli alunni.
E se gli atti del dirigente non fossero legittimi? Non esisterebbe nessuna forma di ricorso se non quello alla Corte Costituzionale! Questo per il processo di “de-contrattualizzazione” dei lavoratori della scuola che non avendo più un contratto appunto (tra l’altro, sarebbero gli unici nel pubblico impiego) non avranno più nessun diritto scritto da rivendicare se non quelli costituzionali. La valutazione dei docenti – in quest’ottica – diventa figlia del clientelismo.
Al governo – che non accetta il dialogo coi sindacati, di conseguenza con i lavoratori – sono state fornite tredici deleghe in bianco: in esse sono presenti solo i titoli. Il governo potrà pertanto scriverci ciò che vuole per poi essere regolarmente approvate dalla Commissione Cultura.
E a proposito di questa, metafora finale: come può funzionare una tale commissione, se il suo presidente (il deputato Giancarlo Galan) si trova agli arresti domiciliari, accusato di corruzione per la quale ha patteggiato 2 anni e 10 mesi e non ha alcuna intenzione di dimettersi?
C’è da dire che nessuno del governo ha fatto una piega: non si possono fare “indebite pressioni” è stata la risposta dei suoi colleghi.