La falsa attestazione della presenza di un alunno sul registro di classe configura il reato di falso ideologico?
La risposta arriva dalla sesta sezione penale della Corte Suprema di Cassazione (sentenza 9155/2017). Nel caso di specie la scuola privata aveva consentito l’accesso agli esami di maturità a studenti che non avevano rispettato l’obbligo minimo di frequenza delle lezioni, ovvero almeno i tre quarti del monte ore annuale complessivo.
Quanto ai reati di falso, va innanzitutto rammentato come la situazione in esame è già stata considerata dalla Corte e, appunto, la falsa attestazione nel registro di classe è stata ritenuta integrante il dato reato “Sez. 5, Sentenza n. 9793 del 23/02/2006 Ud. (dep. 21/03/2006) Rv. 234238.
In tema di falso documentale, come deducibile dalla giurisprudenza, integra il reato di falso ideologico (art. 479 cod. pen.), la condotta del docente di un centro studi, legalmente riconosciuto, che attesti falsamente la regolare frequenza di studenti di altri istituti privati alle lezioni – frequenza che consentiva di presentarsi agli esami finali per il conseguimento del diploma di Stato come alunni interni del predetto centro studi.
Il reato avviene mediante omessa indicazione delle assenze nei registri di classe, considerato che il professore di un istituto legalmente riconosciuto riveste la qualità di pubblico ufficiale, in quanto l’insegnamento è pubblica funzione e le scuole secondarie private sono equiparate alle scuole pubbliche dalla legge 19 gennaio 1942, n. 86 e i registri di classe di una scuola legalmente riconosciuta rivestono parimenti natura di atto pubblico.
La lettura logica e conforme a legge della norma incriminatrice, che come rammenta l’ufficio impugnante è di condotta, è che il falso idoneo ad ingannare (ed è pacifico che quelli in questione lo fossero} non è “grossolano”; che il falso che può produrre gli effetti di fare risultare una condizione giuridica significativa (quale è la presenza in classe per gli effetti sulla carriera scolastica) non è affatto “innocuo”; che il concetto di utilità riferito a garantirsi un adeguato vantaggio personale nel caso concreto non è certo condizione del reato per il quale sia sufficiente una alterazione del vero con effetti giuridicamente rilevanti.
Anche per quanto riguarda il reato di abuso d’ufficio, formulato dal Pm a carico dell’istituto paritario, per aver provocato intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale violando le norme sull’accesso all’esame», e non riconosciuto dal Gup, i giudici della Suprema corte sono stati perentori:
«È parimenti erronea l’affermazione che l’inutilità ex post della condotta di creare l’apparenza di false presenze non consenta in assoluto di configurare tale reato, potendo essere valutata la condotta sotto il profilo dell’essere integrato il tentativo (ammissibile per il reato di abuso d’ufficio: Sezione 6, numero 26617 del 2009)».
In allegato il testo completo della Sentenza.