Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi afferma di aver stanziato per la scuola pubblica 3,5 miliardi di euro e di non aver tagliato come i suoi predecessori.
Dichiarazioni approssimative e contraddittorie smentite dagli stessi numeri. In realtà, si investono a regime per la scuola pubblica poco più di 2 miliardi. I numeri che presentiamo nella nostra elaborazione ce lo dicono con chiarezza: le bugie hanno le gambe corte.
Per capire esattamente quant’è l’effettivo impegno del Governo per la scuola pubblica e per le assunzioni dei precari siamo ricorsi ad alcune tabelle esplicative. Qui di seguito alcune indicazioni per la loro lettura:
- nella tabella 1 si prendono in esame gli investimenti dichiarati nel disegno di legge governativo, in questo momento all’esame del Senato
- nella tabella 2 invece evidenziamo tutte le voci di spesa che erano già state finanziate da governi precedenti o che non possono dirsi a favore della scuola pubblica. Come per esempio i finanziamenti destinati, ancora una volta, alla privata. Questi finanziamenti a modo di vedere della FLC vanno detratti dal piano Renzi insieme ai tagli operati dalla legge di stabilità per dimostrare la reale quantità degli investimenti
- nella tabella 3 si prendono in considerazione le assunzioni previste nel DDL
- nella tabella 4 si prendono in considerazione i contratti con termine 30 giugno e 31 agosto già in essere nella scuola
- nella tabella 5 si dimostrano le potenzialità già presenti nella scuola ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato che vanno ben oltre il piano proposto dal Governo.
L’esame di queste tabelle ci porta ad una conclusione molto semplice: le grandi dichiarazioni del premier sui notevoli investimenti per ridare centralità alla formazione, vanno significativamente ridimensionate. Infatti dalla nostra analisi risulta che:
- i 3,5 miliardi di euro dichiarati si riducono a 2,3 effettivi
- il piano di assunzioni annunciato dallo stesso Renzi per la copertura di 150.000 posti si è ridotto a 100.701, mentre alla scuola ne servirebbero almeno 183.000.
- i precari che matureranno 36 mesi di servizio anziché contare sulla dovuta stabilizzazione potranno sperare al massimo su un indennizzo in denaro.
Infine, il Governo che dichiara continuamente di voler ascoltare, in realtà non ha tenuto neanche conto delle principali richieste emerse dalla consultazione:
- approvare un decreto urgente per le assunzioni
- istituire un organico potenziato anche per gli ATA
- rinnovare il contratto
- promuovere maggiore democrazia nei percorsi decisionali
- eliminare le molestie burocratiche
- cancellare i tagli agli organici ATA (2.020 posti)
- ripristinare gli esoneri dei vicari e le supplenze brevi docenti e ATA cancellate dalla legge di stabilità
- ripristinare i diritti retributivi dei dirigenti e sanare gli errori dell’amministrazione nei loro ultimi concorsi.
È più che evidente che i tagli ci sono stati – e altri 400 milioni di tagli sono in cantiere nel DEF per la finanziaria 2016 – e che molte richieste avanzate dai sindacati risultano, ad oggi, del tutto inascoltate.
In conclusione, con i nostri approfondimenti dimostriamo che la scuola già oggi per poter funzionare si avvale di un esercito di personale precario. Dalla stabilizzazione lo Stato ne trae unvantaggio e un risparmio. Un vantaggio perché così facendo può garantire la continuità della didattica e del servizio; un risparmio perché, come abbiamo dimostrato nell’approfondimento sull’organico potenziato, la differenza dei costi che corre tra i contratti a tempo determinato fino al 30 giugno e la stabilizzazione con contratti a tempo indeterminato è minima.
Il Governo farebbe bene, dunque, a fronte della cruda realtà dei numeri, a stralciare dal disegno di legge in discussione al Senato la parte riguardante le assunzioni procedendo con decreto. Le ultime dichiarazioni del premier, invece, hanno più il sapore del ricatto al Parlamento e alle parti sociali con un gioco al ribasso sulla pelle dei precari. Il Governo dimostri con i fatti se vuole dare alla scuola una prospettiva di stabilità o lasciarla ancora ostaggio della “supplentite”.