Luisa Piarulli, Presidente nazionale Anpe (Associazione dei pedagogisti italiani), mette in guardia dalla tentazione di affidare agli studenti o alle loro famiglie operazioni in qualche modo legate alla valutazione dei docenti e giudica negativamente anche la possibile inclusione degli stessi docenti nel nucleo di valutazione.
Una sperimentazione di recente avviata in Trentino vede, tra i valori che concorrono al merito e all’aumento di stipendio dei docenti, anche il giudizio da parte degli studenti. Sono in molti a storcere il naso pensando all’ennesima incursione della logica customer satisfaction in un ambito che dovrebbe, in realtà, esserle estraneo. Lei, invece, come valuta in linea generale il principio della valutazione dei docenti?
“La scuola nasce come luogo di crescita intellettuale e sociale e dovrebbe svolgere questo compito attraverso la cultura e l’educazione, quest’ultima intesa come un “tirare fuori” le risorse, le potenzialità dell’alunno, per renderlo un cittadino consapevole. In ognuno c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessun altro (Buber). Nell’ottica del rispetto della dignità della persona, la scuola ha l’obiettivo pedagogico di raggiungere l’empowerment. La logica del customer satisfaction, tipica del marketing aziendale, tesa a soddisfare o superare le aspettative del cliente, contrasta con i valori pedagogici. Preferisco pensare che la scuola rappresenti un luogo di accoglienza, di passione per il sapere, di affascinazione per la conoscenza, dove si opera nell’ottica della corresponsabilità educativa scuola/famiglia e della condivisione. Valutare il lavoro dei docenti potrebbe essere positivo per la crescita professionale e l’ottimizzazione delle strategie educative e didattiche della scuola. Ma non deve, né può rappresentare una modalità sanzionatoria! Ricordo poi che a monte i docenti non ricevono una formazione pedagogicamente adeguata, ma esclusivamente disciplinarista. Immagino allora che il cambiamento dovrebbe avvenire prima ancora nelle università. Infatti gli insegnanti vengono spesso lasciati soli a gestire compiti educativi verso una delicatissima fascia che è quella dell’età evolutiva! Semmai sarebbe auspicabile, nonché legittimo in un contesto educativo, inserire nelle scuole il pedagogista capace di orientare e affiancare i docenti nelle scelte didattiche, metodologiche, formativo- educative”.
Ma se immaginiamo che i valutatori possano essere proprio gli studenti, quali potrebbero essere i rischi? I ragazzi sono in grado di valutare i loro insegnanti? Quali aspetti potrebbero essere meglio in grado di analizzare e, quali, invece, dovrebbero rimanere esclusi dal loro giudizio?
“Presso alcune Università la valutazione del docente realizzata dagli studenti rappresenta una modalità consueta. Ma, nella fascia dell’età evolutiva e quindi della scuola dell’obbligo e poi della scuola secondaria superiore, intravvedo dei rischi sostanziali. Le famiglie potrebbero agire con scarsa obiettività per tutelare e salvaguardare il proprio figlio/a da qualsivoglia frustrazione, ostacolo, incoraggiando un percorso di vita teso al facile raggiungimento di mete. Gli studenti d’altro canto hanno ancora un’identità in formazione e spesso utilizzano strategie inconsciamente subdole per raggiungere i propri scopi a costo zero. Pochi sono gli alunni in grado di riconoscere che la strada del sapere può richiedere autorevolezza, impegno e una sana fatica o almeno devono ancora impararlo. Non dimentichiamo poi che nelle dinamiche di gruppo il fenomeno del contagio può avere il sopravvento, e aggiungo può succedere anche tra i genitori verso la scuola”.
Le ho chiesto i rischi. Quali, invece, i vantaggi?
“Devo ammettere che un processo di valutazione degli insegnanti sarebbe utile: purtroppo ci sono evidenti situazioni, in ogni ordine di scuola, in cui i docenti sembrano non possedere competenze fondamentali: relazionali, comunicative, empatiche, scientifiche. Altri docenti hanno difficoltà a mettersi in discussione, ad autovalutarsi, né percorrono la strada dell’auto-riflessione, dell’auto-conoscenza, inconsapevoli che in ogni essere umano agiscono variabili inconsce responsabili di fratture ai danni di persone minori d’età. Altri docenti ripropongono pedissequamente gli stessi contenuti, anno dopo anno, lontani dal principio che la professione docente richiede una formazione e un aggiornamento continui. Tuttavia, lo scarso riconoscimento sociale e culturale del ruolo docente che ha travolto la scuola non poteva non creare una condizione di frustrazione e demotivazione nei docenti. Pertanto, una valutazione degli insegnanti svolta dagli alunni e magari molto incisiva sulla carriera rischia di produrre un ulteriore peggioramento della situazione. Vedo anche con preoccupazione uno scenario in cui nuclei interni alle scuole di potere docente affianchino il Dirigente Scolastico nella valutazione di altri docenti/colleghi: può essere pericoloso. Ne risentirebbero il clima relazionale, la collegialità, l’armonia. Le dinamiche inconsce che inevitabilmente s’innescano nei rapporti umani potrebbero compromettere ulteriormente lo stato di benEssere dentro la scuola, che parte dagli adulti”.
Si sente dire spesso che i ragazzi si accorgono subito se un docente è preparato o no. Condivide? Da quali atteggiamenti lo capiscono?
“Certo, i ragazzi sanno distinguere tra i loro docenti quelli comunemente da loro definiti ‘bravi’. Questi sanno: tenere la disciplina, interessare, coinvolgere, ascoltare le loro proposte, le loro difficoltà, le loro richieste e concordare delle soluzioni. I ragazzi sanno riconoscere i docenti che possiedono il sapere, un sapere non banale, né scontato, ma tessuto di connessioni, di logica, di passione. I ragazzi sanno benissimo su quali docenti poter contare e da questi accettano rimproveri o valutazioni, suggerimenti, osservazioni, consapevoli che nella necessaria asimmetria dei ruoli, i principi etici della relazione educativa sono comunque il rispetto della loro dignità, il riconoscimento delle loro potenzialità, la gratificazione. Questi docenti, oltre alla preparazione, hanno particolare predisposizione empatica, sociale e possiedono naturali doti comunicative e relazionali. Nella scuola non basta solo possedere il sapere; è necessario veicolarlo con la passione e la compartecipazione e non distribuirlo asetticamente”.
Tornando alla valutazione dei docenti da parte degli studenti, i detrattori di questa ‘innovazione’ sostengono che affidare la valutazione di un docente a uno studente (e magari anche sulla base di questa definire le possibilità di carriera) è come chiedere a un paziente di dare un voto al suo medico. È vero, normalmente non succede che i medici vengano giudicati in maniera formale dai loro pazienti, ma questo non serve perché il mercato e il successo professionale sono termometri molto più affidabili. Nel caso degli insegnanti, però, non abbiamo né l’uno né l’altro…
“Nelle scuole primarie in particolare, vige un passa-parola tra le famiglie e già al momento dell’iscrizione si richiede di iscrivere il proprio figlio nella classe di un insegnante piuttosto che di un altro. Nelle scuole secondarie di primo e secondo grado il passa-parola investe la scuola stessa quando i genitori sono coinvolti emotivamente sulla scelta migliore. Ma questo non è sufficiente e non rappresenta una garanzia perché il grado di soddisfazione finale dipende in realtà da molte variabili. I Piani dell’Offerta Formativa illustrati al momento dell’iscrizione, siamo sinceri, spesso non sono del tutto trasparenti e l’utilizzo dei laboratori mostrati durante le visite delle famiglie nelle scuole vengono spesso utilizzati da pochi docenti e sporadicamente. Varrebbe la pena, secondo il mio punto di vista, organizzare conferenze e incontri rivolti ai genitori dove esporre sperimentazioni, esperienze, percorsi didattici, simulazioni di lezioni. A parlare dovrebbero essere gli stessi allievi frequentanti (almeno nelle scuole sec. di primo e secondo grado). Non escluderei momenti di verifica in itinere con le famiglie e/o gli alunni nell’ottica di un costruttivo scambio di valutazioni, osservazioni e/o raccolta di bisogni”.
Come strutturerebbe i test da somministrare agli studenti? Quali punti dovrebbero toccare? Molti hanno ironizzato sul fatto che dare grande importanza all’efficacia comunicativa possa, per esempio, andare a scapito della valorizzazione della preparazione disciplinare, che certo non può diventare secondaria…
“I test dovrebbero porre in risalto alcuni elementi in particolare: il rapporto degli allievi con i docenti (qualità della comunicazione, attenzione ai bisogni dell’allievo, ascolto attivo…); sulla chiarezza dei criteri di valutazione (oggettività, percorsi di correzione e di spiegazione dell’errore…); sulla chiarezza delle spiegazioni, sull’interesse e sull’approfondimento dei saperi attraverso laboratori e /o modalità che non siano solo di lezione frontale…); sul clima relazionale e comunicativo all’interno della classe.
Le rilevazioni, che non devono avere scopo sanzionatorio, consentirebbero di raccogliere dati essenziali per curare e organizzare la formazione dei docenti interna alla scuola, una formazione concepita anche come gruppi di discussione, di confronto con esperti pedagogisti (ribadisco nell’ottica di una scuola come ambiente educativo-formativo, luogo di crescita intellettuale e personale), di workshop e non solo come trasmissione di concetti e teorie (che i più possiedono). Il burn-out dei docenti è un rischio concreto oggi; creare le condizioni di ascolto anche per loro potrebbe rappresentare un’altra via verso il benEssere. Se stanno bene gli adulti educatori stanno un po’ meglio anche gli allievi”.
Che cosa pensa della possibilità, penso allo stato delle cose molto remota, che anche gli esisti della valutazione degli studenti possano influire sulle carriere e quindi sugli emolumenti dei docenti? Certo potranno influenzare da subito il giudizio dei dirigenti scolastici…
“Penso che sarebbe deleterio e probabilmente farebbe morire quanto è rimasto dell’energia, della passione, dell’amore verso una professione affascinante, formativa, meravigliosa, indispensabile in una società complessa quale è la nostra. È una professione che necessita solo di riconoscimento sociale, istituzionale e culturale per risvegliare la curiosità e lo stupore della conoscenza nelle giovani generazioni, nella consapevolezza che in quanto cittadini solo il Sapere restituisce forza e identità.
Ho sempre creduto che essere insegnanti offra il privilegio di diventare poco a poco Maestri, una parola che contiene tutta la delicatezza di una professione che non è per tutti. Oggi la vera rivoluzione pedagogica consiste nel ritornare a diventare Maestri”.
FONTE: Orizzonte Scuola (www.orizzontescuola.it)
AUTORE: Eleonora Fortunato