Università e Numero Chiuso, nel 2019 i laureati crollano e i docenti mancano. Per l’ANIEF occorre invertire la rotta stabilizzare i ricercatori e aumentare gli investimenti, i più bassi in Europa. L’Italia è penultima per numero di laureati mentre neanche un diplomato su due si iscrive dopo le superiori (soltanto il 40%).
Non basta aprire le università se non ci sono ricercatori a tempo indeterminato: i millecinquecento promessi dal Governo saranno ancora una volta a termine. In dieci anni, in 20 mila tra assegnisti, dottori di ricerca e docenti a contratto non sono stati più assunti. L’analisi del Corriere della Sera e l’emendamento già chiesto invano dal sindacato all’ultima legge di stabilità.
A causa del numero chiuso delle università, persi 10 mila docenti in 10 anni; infatti, quella che doveva essere un’opzione circoscritta ad alcune facoltà è diventata una scelta obbligata. Da ciò, gli atenei sono costretti a ridurre il numero di studenti perché non hanno abbastanza docenti: dal 2008 a oggi sono scesi da 63.228 a 53.801. Il continuo taglio dei finanziamenti all’università non consente di rimpiazzare i professori che vanno in pensione. Tra l’altro, nella classifica europea per numero di giovani laureati l’Italia è penultima, seguita solo dalla Romania.
Numero Chiuso, nel 2019 i laureati crollano e i docenti mancano
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La situazione attuale deve necessariamente mutare affinché gli eventi possano raddrizzarsi, poiché, a sei anni dal conseguimento del dottorato, appena il 10% di coloro che conseguono il titolo riesce a svolgere poi la professione dell’insegnante. Certamente la notizia appresa oggi non fa che confermare le nostre perplessità e accrescere il timore di assistere a una diminuzione continua degli investimenti atti a incrementare la formazione e la professionalità dei giovani cittadini. Servono più risorse, molto più di quelle che finora sono state garantite. Le statistiche sono impietose e relegano l’università italiana agli ultimi posti d’Europa per investimenti.
“In Italia abbiamo il più basso numero di laureati d’Europa”: è l’allarme che lancia il Corriere della Sera. Una situazione determinata non solo ma anche dal numero chiuso nei corsi di laurea. Istituito dalla legge 264 del 1999 (governo D’Alema), stabilisce “paletti” all’accesso ai corsi universitari, di due tipi, come si legge sul quotidiano “a livello nazionale per medici, dentisti, infermieri, fisioterapisti, veterinari, architetti e maestre. A livello locale invece si lasciava ai singoli atenei la facoltà di disporre del numero chiuso per i corsi che prevedevano l’uso di laboratori o l’obbligo di tirocini”.
Il boom del Numero Chiuso
Tale boom delle università a numero chiuso, “che doveva essere una opzione circoscritta ad alcune facoltà” ed “è diventata nel tempo una scelta obbligata”, ha avuto come conseguenza la perdita di 10 mila docenti in dieci anni; infatti “si è iniziato con Biologia e Farmacia, diventate ripiego temporaneo per aspiranti medici eliminati al primo turno in attesa di riprovarci l’anno dopo. Poi un po’ ovunque. Quest’anno su 4.560 corsi di laurea solo 2.827 sono ad accesso libero; 732 sono quelli a numero chiuso programmati dal Miur, a cui si aggiungono 1.001 corsi decisi dagli atenei”. Infatti, le lauree umanistiche rimangono più aperte agli studenti: “test obbligatorio quasi ovunque per diventare psicologi. Giurisprudenza invece, nonostante la cronica inflazione di avvocati, resta per lo più aperta, ma le iscrizioni sono spontaneamente in flessione. Mentre, nonostante il test imposto dai super Politecnici di Milano, Torino e Bari, gli aspiranti ingegneri cambiano città e gli immatricolati sono in costante aumento”.
Quindi, “gli atenei sono costretti a ridurre il numero di studenti perché non hanno abbastanza docenti: dal 2008 a oggi sono scesi da 63.228 a 53.801. Il continuo taglio dei finanziamenti all’università non consente di rimpiazzare i professori che vanno in pensione”. Dunque “il boom dei corsi a numero chiuso ha coinciso (colpa della crisi) con il crollo degli immatricolati: nel 2007-2008 erano 300 mila, scesi a meno di 270 mila nel 2013-14. Negli ultimi tre anni sono tornati a crescere fino a 290 mila, ma il miglioramento è imputabile più all’aumento del numero di diplomati che al tasso di passaggio dalla scuola all’università, bassissimo nel confronto col resto d’Europa (46 per cento contro 63 per cento)”. Nella classifica europea per numero di giovani laureati l’Italia è penultima, con “il 26,9 per cento dei 30-34enni, contro una media che sfiora il 40 per cento. Dietro di noi solo la Romania”.
Certamente il sindacato Anief non può che essere critico rispetto alla piega che sta prendendo il sistema scolastico e universitario a causa dello scarso investimento delle risorse da parte del governo. Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, infatti afferma che “la situazione attuale deve necessariamente mutare affinché gli eventi possano raddrizzarsi. È di poche settimane fa la notizia, basata sui dati pubblicati dall’Istat, di come solo un dottore di ricerca su 10 diventi professore; infatti, a sei anni dal conseguimento del dottorato, appena il 10% di coloro che conseguono il titolo riesce a svolgere poi la professione dell’insegnante. Noi lo sosteniamo da dieci anni, auspicando soluzioni e proponendo anche emendamenti al testo della legge di Stabilità: è necessario ripartire dalla stabilizzazione dei ricercatori, impossibilitati a passare al ruolo della docenza. Lo abbiamo fatto nuovamente, puntando al rilancio della figura del ricercatore a tempo indeterminato, attraverso la creazione di un albo nazionale”.
“La notizia non fa che confermare le nostre perplessità – continua il sindacalista autonomo – e accrescere il timore di assistere a una diminuzione continua degli investimenti atti a incrementare la formazione e la professionalità dei giovani cittadini. Per arrestare questa emorragia ed invertire la rotta si deve mettere mano al portafogli; infatti, servono più investimenti, molto più di quelli che finora sono stati garantiti. Le statistiche sono impietose e relegano l’università italiana agli ultimi posti d’Europa: basti pensare che in rapporto al Pil spendiamo lo 0,9% contro l’1,2% della Germania, l’1,3% della Spagna, l’1,5% della Francia e poco meno del 2% dell’Inghilterra”.
DISEGNO DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021
AC n. 1334
Emendamenti ANIEF
ART. 32.
(Assunzione straordinaria di mille ricercatori)
VI
All’articolo 32, apportare le seguenti modifiche:
- a) Al comma 1, al termine del primo periodo, aggiungere il seguente testo: “e di ricercatori a tempo indeterminato. A tal fine, in deroga all’articolo 24, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, le Università possono continuare ad attuare per l’a.a. 2019/2020 le procedure di valutazione per il reclutamento dei ricercatori a tempo indeterminato come disposte dai commi 3 e 5 della legge 9 gennaio 2009, n. 1”.
- b) Al comma 3, inserire il seguente testo: “A tal fine, i candidati in possesso del dottorato di ricerca o di un titolo riconosciuto equipollente anche conseguito all’estero, con almeno tre insegnamenti universitari a contratto, con pubblicazioni di rilevanza anche internazionale, che hanno ottenuto un assegno di ricerca della durata di almeno quarantotto mesi anche non continuativi di cui all’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, (o di contratti a tempo determinato o di formazione, retribuiti di collaborazione coordinata e continuativa, o a progetto, di rapporti di collaborazione retribuita equipollenti ai precedenti presso università o enti di ricerca della stessa durata), sono inseriti a domanda in un albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata esperienza in base al settore scientifico-disciplinare di afferenza, che non dà diritto alla docenza e rimane valido per un triennio, dietro valutazione dei titoli e dei curricula scientifici e didattici posseduti. Conseguentemente, le Università, con chiamata diretta, possono attingere dall’albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata esperienza per l’assunzione dei ricercatori a tempo indeterminato con modalità da disciplinare con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca da emanare entro 60 giorni dall’approvazione della presente legge. Agli oneri derivanti dalle assunzioni di cui al presente comma si provvede attraverso il riparto delle risorse da reperire a seguito della soppressione all’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 294 delle parole “ricettive” e ‘ricreative’”.
Motivazione [Assunzione ricercatori a tempo indeterminato a carte europea]: il rilancio della figura del ricercatore a tempo indeterminato, attraverso la creazione di un albo nazionale, assume rilevanza centrale nell’ottica dell’innovazione e in relazione al rilancio del sistema paese. La copertura finanziaria è dalle risorse derivanti dal pagamento dell’ICI dei soggetti proprietari di immobili destinati ad attività ricettive e ricreative, prima esonerati, a seguito della sentenza n. 166 del 6 novembre 2018 della Corte di Giustizia Europea nella Cause riunite C-622, C-623, C-624/16.