Risarcimento danni per mobbing. E’ quanto ha deciso la Corte di Appello di Catanzaro, Sezione Lavoro, condannando un dirigente scolastico, all’epoca preside di una scuola media del quartiere Santa Maria, a risarcire un’insegnante per i danni subiti. La docente, difesa dall’avvocato Giacomo Dominjanni, è stata riconosciuta vittima di una serie di atti emulativi da parte del preside (tra cui l’illecita esclusione da un Progetto scolastico, la irrogazione di una sanzione disciplinare ingiusta e illegittima, un controllo opprimente nelle classi di sua competenza, corrispondenza e atteggiamenti irridenti, continuo recapito di note riservate attraverso il personale amministrativo) ) attuati, secondo la Corte, in riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro, in un contesto di fumus persecutionis e, quindi, costituenti mobbing; la Corte ha, pertanto, condannato il Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della docente.
DALL’ESCLUSIONE DEL PROGETTO ALLE IRRUZIONI IN AULA FINO ALLA DENIGRAZIONE
La docente, nel ricorso di primo grado e poi nell’appello aveva lamentato la reiterata ed immotivata esclusione dal Progetto triennale per la prevenzione della devianza giovanile, al quale erano stati ammessi tutti gli altri docenti richiedenti, esclusione accompagnata da note dal tenore sarcastico; l’irrogazione di una sanzione disciplinare per una contestazione che aveva ad oggetto un comportamento imputabile a diverse persone (petizione scritta collettivamente da numerosi professori) reiterate irruzioni in classe durante le lezioni con occhiali da sole ed auricolari; continuo invio di riservate recapitate in classe dal bidello o nel corso dello svolgimento del collegio dei docenti; richiesta formale (mai fatta agli altri docenti) dei compiti degli alunni, anche durante le lezioni, mentre per prassi veniva effettuata da un docente collaboratore del preside; l’essere stata tacciata di dislessia in collegio docenti; rigetto di permessi e congedi, concessi ad altri.
La Corte ha successivamente acquisito il fascicolo d’ufficio di primo grado, ha disposto ctu medico –legale per accertare la sussistenza del dedotto danno biologico giudicando l’appello fondato.
COSA HANNO INTESO I GIUDICI PER MOBBING. LE FRASI DI SCHERNO NELLE NOTE UFFICIALI
Secondo i giudici infatti “ per mobbing, riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., deve intendersi una condotta nei confronti del lavoratore tenuta dal datore di lavoro o dai dirigenti protratta nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e la emarginazione del dipendente nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell’equilibrio psico fisico e della personalità del medesimo. Quindi l’esclusione dal “progetto triennale per la prevenzione ed il disagio giovanile e la devianza sociale” nonostante l’insegnante avesse presentato nei tempi e nelle forme dovute la propria adesione con contestuale disponibilità a permanere in servizio nella scuola per tre anni; alla richiesta di essere considerata nell’ambito del progetto, il dirigente scolastico rispondeva con una nota del 18.4.2000 che si concludeva con le espressioni dal seguente tenore “….il sottoscritto si farà tramite per un accoglimento delle Sue richieste presso le Superiori Gerarchie (non esclusa quella dei Cori Celesti, che va – se le memorie dantesche non sono troppo lacunose – dagli Angeli ed Arcangeli fino ai Principati e alle Potestà).
QUELLA SANZIONE DISCIPLINARE COMMINATA SOLO ALL’INSEGNANTE PER UN ATTO COLLETTIVO
L’applicazione di una sanzione disciplinare solo nei confronti della donna per un atto posto in essere collettivamente insieme ad altri docenti ovvero la sottoscrizione di un documento insieme ad altri colleghi, nel quale si denunciavano procedure formali non corrette nello svolgimento di una riunione del Collegio dei docenti l’applicazione della sanzione risulta preceduta da un colloquio, durante il quale il preside , alle obiezioni dell’insegnante , affermò “di essere il Preside e di non dovere rendere conto a nessuno” , la richiesta da parte del dirigente degli elaborati degli alunni direttamente all’insegnante, contrariamente alla prassi secondo cui la raccolta e la conservazione degli elaborati veniva effettuata da un docente collaboratore del preside, l’essersi recato il dirigente nelle classi della professoressa in diverse occasioni, ivi trattenendosi durante la lezione con occhiali da sole ed auricolari, l’invio di riservate recapitate in classe dal bidello di turno durante le ore di lezione, l’essere stata tacciata di dislessia in collegio docenti. Ed invero tali fatti, se esaminati congiuntamente, in assenza di una rigorosa prova circa la giustificatezza del comportamento datoriale, dimostrano inequivocabilmente l’elemento soggettivo della condotta del dirigente volta a discriminare l’odierna appellante rispetto agli altri colleghi, a screditarne la professionalità ed a lederne la riservatezza e la dignità. Ed invero, l’intento discriminatorio si evince in particolare dall’esclusione reiterata dal progetto triennale di cui sopra, a fronte dell’ammissione degli altri richiedenti, nonostante ricorressero i presupposti per la sua ammissione e la precedenza rispetto a docenti in ingresso secondo i pareri espressi dal Provveditorato agli Studi di Catanzaro: l’esclusione, peraltro, risulta accompagnata da una nota volta a deridere la legittima richiesta della docente. L’intento discriminatorio è associato a quello del discredito professionale ed a quello di lederne la dignità (con particolare riferimento all’essere tacciata di dislessia , mettendo così in dubbio le sue capacità professionali in un contesto istituzionale quale il collegio dei docenti) e la riservatezza (con riferimento all’invio di riservate in classe, riservate che avrebbero dovuto essere recapitate in segretaria, sede deputata a tale incombente).
LA SUSSISTENZA DEL NESSO DI CASUALITA’ TRA LE VICENDE LAVORATIVE E LE SUCCESSIVE PATOLOGIE
La ctu medico legale espletata nel presente grado di giudizio ha consentito di accertare la sussistenza del nesso di causalità tra le vicende lavorative della ricorrente e la patologia da cui è affetta, diagnosticata quale lieve sindrome ansioso-depressiva reattiva, inquadrabile quale “disturbo dell’adattamento cronico lieve” e configurante un danno biologico permanente pari al 3%. Peraltro deve precisarsi che “ai fini della configurabilità del nesso causale tra un fatto illecito ed un danno di natura psichica non è necessario che quest’ultimo si prospetti come conseguenza certa ed inequivoca dell’evento traumatico, ma è sufficiente che la derivazione causale del primo dal secondo possa affermarsi in base ad un criterio di elevata probabilità, e che non sia stato provato l’intervento di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale così accertata”. Dalla documentazione in atti è possibile desumere che il consolidamento dei postumi invalidanti ovvero la cronicizzazione della patologia risale all’epoca in cui la docente risulta in cura presso il servizio psichiatrico dell’azienda ospedaliera.