Ci risiamo: l’Italia investe sempre meno nell’educazione dei suoi cittadini, tanto da indossare la maglia nera in Ue per la spesa in istruzione. Secondo quanto rileva Eurostat, sulla spesa pubblica dei paesi Ue, nel 2014 l’Italia ha destinato all’istruzione solo il 7,9% della propria spesa (in calo dall’8% del 2013) a fronte del 10,2% medio europeo.
E il nostro Paese risulta al penultimo posto anche nella spesa per la cultura con l’1,4% della spesa a fronte del 2,1% europeo. Entrando nel dettaglio, in Italia l’investimento annuale per l’istruzione è in linea con la media per quanto riguarda l’educazione primaria; lievemente più bassa per quella secondaria, mentre è molto inferiore per l’educazione terziaria ovvero universitaria e post universitaria e nella ricerca.
La spesa in percentuale sul Pil nell’educazione terziaria è allo 0,8% in media Ue e allo 0,3% in Italia mentre se si guarda alla percentuale sulla spesa pubblica l’Ue si attesta in media sull’1,6% e l’Italia sullo 0,7%. Nella spesa per l’istruzione terziaria il nostro Paese è sempre più il fanalino di coda in Ue, lontanissimo dai livelli tedeschi (0,9% sul Pil e 2% sulla spesa pubblica).
Ma lo scarso investimento per istruzione e cultura, diventa ancora più sgradevole quando si vanno a leggere le percentuali nazionali annue per il sostentamento di altri comparti pubblici. Ad esempio, per i servizi generali, area nella quale sono compresi gli interessi sul debito oltre alle spese per gli organi elettivi e molte di quelle per il funzionamento della pubblica amministrazione, la nostra Penisola si attesta al 17,4%, a fronte del 13,9% medio europeo.
E una percentuale più alta della media si ha anche per la protezione sociale, con il 41,8% della spesa a fronte del 40,4% media Ue: per questa “voce” l’Italia conferma il picco della spesa per la vecchiaia, con il 27,3% (21,4% in Ue) e per la reversibilità. Mentre resta al di sotto delle percentuali medie Ue, la parte di spesa pubblica destinata alla disoccupazione, alla disabilità e alla famiglia.
Anche per la spesa pubblica complessiva, rispetto al Pil, siamo sopra rispetto all’Europa unita: l’Italia si attesta al 51,3%, in crescita rispetto al 2013 e superiore in confronto alla media Ue (48,2%). Pure per la contestatissima sanità spendiamo il 7,2% del Pil: una cifra in linea con l’Ue. Cosa significa tutto questo? Che la scelta tutta italiana di investire poco nella scuola e nell’università, non dipende solo dalla scarsità di fondi nelle casse pubbliche. Perchè se si guarda alla spesa pubblica totale, l’Italia spende più soldi per la spesa sociale rispetto agli altri Paesi dell’Ue.
Ora, è vero che siamo tra i Paesi dove c’è maggiore copertura pubblica per la protezione: il suo ammontare per abitante è pari a circa 8 mila euro l’anno. È anche vero che siamo tra i Paesi dove la spesa è più alta per coprire i lavoratori rimasti senza impiego, con cassa integrazione e indennità varie, soprattutto per invalidità, che sottraggono cifre davvero considerevoli. Detto questo, però, non è accettabile che se si guarda all’Ue, per istruzione si investa meno di tutti (pur con le dovute differenze, visto che vi sono province del nord-est e realtà locali dove abbiamo poco da invidiare agli altri).
Mentre l’Istruzione rimane al primo posto nelle conferenze e nei dibattiti, poi però le priorità dei legislatori continuano ad essere altre. Ricordiamoci, allora, di questi dati Eurostat del 25 marzo 2016. Pronti a tirarli fuori, la prossima volta che il governante di turno ci dirà che “abbiamo invertito marcia” e che “l’Italia è tornata ad investire nell’Istruzione”.