Nella ricerca di Openpolis il quadro attuale della situazione e i possibili scenari futuri: ecco qual è stato l’impatto di lungo periodo della pandemia sull’insegnamento a scuola.
L’emergenza Covid ha inciso su metodi didattici e modalità di insegnamento, con effetti non necessariamente di breve termine. Rendendo ancora una volta evidente quanto sia importante investire sugli insegnanti e sulla loro formazione.
La quotidianità della vita scolastica è uno degli aspetti che hanno risentito maggiormente dell’emergenza Covid. Nei mesi più difficili della pandemia, l‘impossibilità di fare scuola in presenza ha inciso enormemente sulle consuetudini delle classi e anche su metodi e strumenti di insegnamento.
La didattica a distanza, da un lato risolutiva perché ha consentito di non interrompere del tutto il percorso scolastico, ha però anche rappresentato una sfida enorme per il nostro sistema educativo.
Un vero e proprio cambio di paradigma che ha stravolto metodi e strumenti di insegnamento, obbligando in brevissimo tempo a un adattamento da parte di alunni e insegnanti.
Questi ultimi hanno dovuto adeguare i propri sistemi didattici nella situazione mutata, in un contesto che senza preavviso aveva stravolto la modalità con cui si sta in classe e il rapporto tra docente e alunno.
L’impatto di lungo periodo della pandemia sull’insegnamento a scuola
Con l’emergenza Covid dichiarata terminata dalle autorità sanitarie internazionali e nazionali nel maggio di quest’anno, è utile valutare l’impatto della pandemia sulle possibilità di insegnamento da parte dei docenti e sugli apprendimenti di ragazze e ragazzi.
Come noto, le competenze degli studenti sono calate durante l’emergenza, complici una serie di fattori. Primo tra tutti proprio le disuguaglianze tra gli alunni: è esplosa la disparità chi aveva alle spalle una famiglia in grado di supportare il lavoro della scuola e chi no. Anche la disponibilità di un luogo tranquillo dove studiare e di dispositivi digitali ha fatto la differenza.
Anche per questo, come abbiamo avuto modo di raccontare, gli apprendimenti sono calati soprattutto tra gli studenti svantaggiati. Nelle prove Invalsi del 2023, sebbene vi sia stato un miglioramento nel risultato medio rispetto ai dati in piena fase pandemica, è emerso come restino problematici i divari sociali e territoriali.
Nel ripercorrere le diverse strategie adottate dai paesi europei per far fronte a questa situazione, proviamo a capire se questa tendenza è destinata a durare anche dopo la pandemia. E soprattutto cosa si può fare per contrastarla, a partire dalla valorizzazione del ruolo degli insegnanti.
Come sono sono cambiati didattica e insegnamento nella pandemia
La pandemia è stata uno spartiacque nelle modalità di insegnamento. Molti sistemi europei hanno riadattato, in vari modi, l’organizzazione della didattica per supplire ai limiti delle lezioni seguite da remoto o in modalità mista. E soprattutto per fare fronte al calo degli apprendimenti, soprattutto tra gli studenti svantaggiati.
In risposta all’emergenza Covid sono state 3 le principali strategie adottate dai sistemi educativi europei in supporto all’apprendimento. Quella più frequente, che ha riguardato anche il nostro paese, è stata organizzare misure aggiuntive di supporto all’apprendimento per gli studenti svantaggiati o con difficoltà negli apprendimenti in seguito alle chiusure.
L’investimento sulla professione di docente
L’emergenza Covid ha reso evidente quanto sia strategico investire sulla professionalità degli insegnanti. Il loro ruolo è essenziale per la formazione di ragazze e ragazzi, tanto nelle fasi ordinarie, quanto in quelle straordinarie. In cui può essere necessario riadattare metodi didattici e strumenti di insegnamento.
Ciò comporta una valorizzazione del corpo docente, sotto diversi punti di vista.
Allo scoppio della pandemia, il corpo docente italiano risultava tra quelli mediamente più anziani, meno pagati e con un accesso alla formazione inferiore alla media europea, in base ad alcuni indicatori esistenti sull’argomento.
Le analisi Ocse segnalano che le retribuzioni degli insegnanti italiani tendono a essere più basse rispetto alla media dei laureati. In misura molto superiore rispetto ad altri paesi europei considerati nelle rilevazioni.
L’età degli insegnanti in Italia
Nell’anno scolastico 2021/22, in Italia in media il 10% del corpo docente aveva meno di 35 anni. Una percentuale che scende ulteriormente, al di sotto del 3%, se si considerano i solo insegnanti a tempo indeterminato.
Tale quota varia profondamente sul territorio nazionale. In province come Cuneo, Sondrio, Brescia, Mantova, Prato e Lecco supera il 5%. In particolare nel cuneese, dove l’incidenza di giovani insegnanti raggiunge il 6,84%. Superano la media nazionale (2,99%) anche altre 47 province, tutte nella parte centro-settentrionale del paese.
Fonte: Openpolis