Il contenzioso, nel settore della scuola, del 2015 è stata determinato dalla vicenda dei diplomati magistrale, che è ancora in corso. Il 2016 certamente sarà incentrato sul concorso scuola e probabilmente sulla questione della mobilità.
Venendo al concorso, i paletti ferrei sono stati dettati dalla Legge 107 del 2015 nel momento in cui riconosce il diritto a partecipare esclusivamente ai candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all’insegnamento e, per i posti di sostegno per la scuola dell’infanzia, per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, i candidati in possesso del relativo titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilita’.
Andrà eccepita l’incostituzionalità della norma della Legge 107 del 2015? Sì. Gli esclusi sono una platea enorme, e non sono solo coloro che sono inseriti nelle graduatorie di Terza Fascia. Un ricorso del genere, che è già stato preso in considerazione da diverse realtà, sicuramente fomenterà diversi malumori tra gli abilitati.
Perché rivendicheranno il loro esclusivo diritto a partecipare al concorso, mentre i non abilitati il loro giusto diritto a non essere esclusi da tale concorso in base ai principi generali come dettati dalla nostra Costituzione. Questa è una conseguenza della cattiva gestione delle politiche assunzionali avvenute nelle scuola nel corso degli anni, che hanno fomentato illusioni, precariato, ed affidamento alla Pubblica Amministrazione, tradito dalla realtà dei fatti, nonostante un tutto anche dispendioso.
Lo stato di diritto dovrebbe teoricamente garantire principi certi, chiari e tassativi che poi sono quelli che dovrebbero anche governare la nostra democrazia. Ma in Italia, negli ultimi tempi, il diritto, il riconoscimento dei diritti, si è piegato alla logica del compromesso al ribasso, alla negoziazione di diritti fondamentali, alla politica ed a tutelare le“casse” dello Stato.
Più di una volta la giurisprudenza costituzionale ha affermato che nel concorso pubblico va riconosciuta «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione».
La forma concorsuale esige che non siano introdotte arbitrarie ed irragionevoli restrizioni nell’ambito dei soggetti legittimati alla partecipazione.
Anche perché si rischierebbe un vulnus al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente lesione, sotto questo profilo, degli artt. 3 e 97 Cost., infatti, rappresentando il concorso la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, esso costituisce un meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione e, dunque, attuativo del principio del buon andamento e di legalità, imparzialità dell’azione amministrativa determinandosi, in caso di esclusioni irrazionali ed illegittime una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.
Ledendosi anche il principio costituzionale dell’affidamento. Ma si violerebbe anche l’articolo 51 della Cost., in quanto si realizzerebbe, limitando l’accesso al concorso esclusivamente agli abilitati, la lesione delle condizioni di uguaglianza tra i cittadini che aspirano ad accedere ai pubblici uffici.
E’ difficile dire se questo contenzioso avrà o meno un buon esito, perché andranno effettuate delle valutazioni a 360 gradi, ivi incluse politiche ed economiche, che in materia di diritto del lavoro ed al lavoro, non dovrebbero sussistere, ma, come la recente storia ci ha insegnato, il diritto non è più libero di essere riconosciuto come tale, non è più indipendente ed autonomo nella sua affermazione, ma imprigionato da interessi che minano continuamente lo stato di diritto e conseguentemente le basi fondamentali della società democratica. E di ciò se ne dovrà tenere conto.