L’approvazione de La Buona scuola e i finanziamenti per l’innovazione che contiene sono forse l’ultima occasione che il sistema scuola italiano ha per mettersi al passo con i paesi più avanzati d’Europa in tema di digitale. Si tratta di adeguare le metodologie, l’offerta formativa e le infrastrutture scolastiche alle esigenze di una platea di studenti i cui stili di apprendimento sono radicalmente mutati con la “rivoluzione digitale”. Una rivoluzione che per anni è stata colpevolmente ignorata o sottovalutata, dai governi del centro-destra.
Ricordiamo che L’OCSE, già nel 2013, stimava in 15 anni rispetto alla Gran Bretagna il ritardo nella scuola italiana. Era l’OCSE stessa nel 2013 ad indicare una via d’uscita per colmare il digital divide italiano suggerendo due macro obiettivi (Review of the italian strategy for digital school). :
a. accelerare l’integrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle scuole e nelle classi;
b. creare una Rete di Laboratori per l’Innovazione in cui alcune scuole pilota sperimentino e concepiscano nuove pratiche didattiche e organizzative per migliorare il sistema scolastico italiano.
A onore del vero, dopo quindici anni di tagli alla scuola voluti dal destra, nel 2013 il governo Monti, tra luci e ombre aveva fatto il possibile per far riprendere l’Italia dall’”incubo” dei tagli lineari e dell’”incuria digitale” del Ministro Gelmini. Profumo si era mosso lungo le direttive europee avviando l’Agenda digitale della scuola italiana (alla voce Competenze digitali), nel più ampio quadro dell’Agenda digitale Italiana, promossa da Monti per l’intero paese. Si era tentato cioè di avviare il processo infrastrutturazione digitale delle istituzioni formative attraverso il piano Scuole 2.0 e una correzione del piano Scuola digitale di Gelmini.
Sempre con grande lentezza anche il governo Letta, compie piccoli passi nella giusta direzione in particolare il suo intervento riguarda i “Libri digitali”: la versione digitale dei contenuti viene resa obbligatoria, almeno per le ”nuove adozioni” e inoltre viene resa opzionale l’adozione dei libri di testo tradizionali dall’anno scolastico 2014 e 2015. Il ministro Carrozza, poi, auspica anche se non rende obbligatori, nell’allegato tecnico al decreto del 29 settembre 2013 l’adozione da parte degli editori di piattaforme interoperabili per la gestione digitale della didattica e dei contenuti digitali. Quello che manca è sempre però una strategia unitaria e coordinata.
E siamo all’oggi. La buona Scuola del governo Renzi – finalmente e tra mille polemiche divenuta legge – compie questo ultimo passo. Pare offrire, cioè, finalmente una sistemazione organica a tutti questi interventi e indica un quadro normativo e organizzativo chiaro per attuarli (Ferri, P. “Sì la buona scuola di Renzi è innovativa”). Il testo ha, infatti, una ricca parte dedicata alla riforma digitale delle istituzioni formative. Un testo molto condivisibile! Banda larga in tutte le classi; spostamento degli investimenti dall’acquisto di Hardware e Tablet o Lim (ciechi e muti per la mancanza di Internet) alla formazione metodologica degli insegnanti; abbattimento degli investimenti in Hardware attraverso la metodologia del Bring Your Own Device (porta il device da casa); abbattimento dei costi dei libri di testo attraverso la progressiva adozione di “testi digitali”.
Un quadro normativo chiaro, una proposta credibile che richiede per la sua attuazione non solo un cospicuo investimento (invero sulla scuola digitale le poste di bilancio sono ancora un po’ basse anche ne La Buona Scuola) ma soprattutto decisioni chiare e rapide. E’ necessario, cioè, dare piena e rapida attuazione ai provvedimenti più sopra citati dando la priorità ad alcune “emergenze”. Tutto questo per evitare che i nostri “figli nativi digitali” considerino sempre di più la scuola come un “polveroso” modo per annoiarsi e/o di socializzare tra pari e non di apprendere.
Come colmare il divario digitale: attuare le misure previste ne La buona scuola
Le priorità che individuiamo, nell’attuazione de La buona scuola e per colmare il digital divide della scuola italiana sono queste e vanno affrontate da settembre:
a. Connessione a Internet in tutte le classi. E’ necessario l’innalzamento drastico delle percentuale di “classi connesse” dall’attuale e piuttosto increscioso 9%. L’obiettivo potrebbe essere quello di dare 30 megabit a ogni scuola e i 100 megabit al 50 per cento delle scuole possibilmente prima del 2020 come per altro ci impone l’Europa – non solo rispetto alla scuola ma nei riguardi di tutti i cittadini. In particolare sarebbe davvero necessario che si attuasse il Piano Banda larga previsto dal Governo per tutto il paese e più volte richiamato nella Buona scuola.
b. Formazione metodologica degli insegnanti. La scuola non può essere “aumentata digitalmente” senza una classe insegnante formata adeguatamente e consapevole del “salto di paradigma” che la rivoluzione dei “nativi digitali” e che l’introduzione delle tecnologie nelle classi comporta.
c.Non serve invece investire in hardware e LIM! Anche solo questo spostamento delle poste di bilancio, suggerito per altro dalla Buona Scuola, costituirebbe un grande passo avanti rispetto agli investimenti degli enti locali di questi anni: ora si tratta di attuarlo e di avviare un formazione capillare dei docenti e dei dirigenti. Per troppo tempo, infatti, le risorse sono state sprecate in hardware – in ordine cronologico, Server, LIM, net-book e tablet – a solo vantaggio dei produttori di tecnologia e con scarsa utilità per insegnati e studenti, mentre l’investimento in formazione metodologica degli insegnanti non è fino ad ora stato assolutamente sufficiente .
d. Riprendere e dare completa attuazione dell’”Allegato tecnico” del decreto Carrozza sui contenuti digitali. In particolare andrebbe promosso un tavolo con gli editori scolatici italiani finalizzato a definire standard qualitativi e contenutistici dei nuovi data base interattivi di contenuti digitali per la scuola.
e. Dare un sistema informativo digitale ad ogni scuola. La trasformazione in Scuola 2.0 delle nostre istituzioni formative può migliorare, rendere più efficiente e meno costosa per i cittadini l’Istruzione pubblica. Questa transizione è costituita da alcuni pilastri già citati: la connessione a Internet in banda Larga, i contenuti digitali per l’apprendimento di qualità, fruibili e integrabili in maniera aperta; ma anche da ambienti virtuali per l’apprendimento per gli insegnanti e gli studenti e da software gestionali per agevolare i dirigenti nei processi amministrativi della scuola. A oggi la scuola è l’unica istituzione dello stato a non essere dotata di un vero sistema informatico di gestione della didattica e delle procedure! Si dovrebbe perciò intervenire a livello normativo e finanziario per avviare l’installazione di questi “software di sistema” in tutte le scuole italiane.
Mi piace chiudere questo intervento di auspici sull’attuazione de La Buona scuola con una citazione di Luigi Berliguer, un grande innovatore, che ha provato sulla sua “pelle” la difficoltà del cambiamento e le fatiche della riforma di un istituzione così complessa e molto conservatrice come la Scuola italiana. “L’Italia – afferma Berliguer in una intervista a Repubblica – ha bisogno di terremoti, non del cesello. E questa riforma, anche se non è bella come avremmo voluto, può essere importante. Un’occasione. Introduce novità fondamentali, di cui non si è parlato nel dibattito di questi mesi. Perché le opposizioni sono solo ideologiche, appartengono a un mondo che non vuole cambiare. Si è falsato l’obiettivo della discussione, tutta incentrata sul preside-sceriffo. E non si è parlato di cose importanti come l’addio all’orario fisso settimanale, l’introduzione della musica. Né si è capita l’importanza dell’autonomia, dell’aggiornamento obbligatorio per i docenti e dell’alternanza scuola lavoro, perché resistono vecchie ideologie ormai vuote di significato”. Come ha ragione caro, carissimo Berliguer, speriamo davvero che il Governo Renzi sia all’altezza delle parole e dell’obiettivo che si è dato.