valutazioneLe rilevazioni che le scuole stanno conducendo nell’ambito delle proprie attività di autovalutazione sono a rischio. Chi risponde ai questionari potrebbe essere individuato.

 

Qualche giorno fa avevamo segnalato che sulle attività di autovalutazione che si stanno svolgendo in queste settimane nelle scuole pesa il dubbio – neppure tanto teorico – che non sia garantito il rispetto della privacy di coloro che partecipano a rilevazioni, indagini o sondaggi.

 

Ora, a parte le considerazioni di ordine etico (ed eventualmente giuridico) che si possono fare, il problema principale riguarda proprio l’attendibilità dei dati raccolti.

 

E’ del tutto evidente – infatti – che chi risponde a un questionario, se non ha la certezza di rimanere anonimo, è portato a dare risposte meno “sincere”.
In questi ultimi giorni l’attenzione del mondo della scuola era concentrata sullo sciopero del 5 maggio e quindi la questione che avevamo posto è passata in secondo piano, anche se in realtà diversi lettori ci hanno contattati per segnalarci ciò che accade in alcune scuole.

 

Possiamo portare qualche esempio.

 

In alcuni casi i questionari distribuiti a docenti e Ata per rilevare il loro “gradimento” sulle modalità di gestione e di organizzazione della scuola chiedono di indicare anche il plesso in cui si presta servizio.

 

Non ci vuol molto a capire che, soprattutto nei circoli didattici e negli istituti comprensivi, questo dato può consentire l’individuazione della persona che ha compilato il questionario (nella scuola dell’infanzia, per esempio, ci sono plessi in cui prestano servizio due docenti e un collaboratore scolastico).

 

In altri casi i questionari vengono proposti su una piattaforma on line alla quale si può accedere solo con la password personale; abbiamo chiesto a qualche tecnico competente che ci ha confermato che – in linea di principio – un meccanismo del genere consente di risalire al nominativo di chi ha compilato il questionario.

 

Ed è singolare che su una questione così delicata e complessa il Ministero non abbia sentito l’esigenza di fornire qualche indicazione alle scuole.
Per regolarizzare la raccolta di dati e opinioni fra il personale e fra i genitori bisognerà dunque aspettare un intervento del Garante per la Privacy?