autonomia scolasticaIl profluvio di parole contenuto nel disegno di legge “La Buona Scuola” in discussione in Parlamento ha come unico scopo quello di nascondere un vero e proprio attacco all’autonomia scolastica, pur proclamando di volerla “sviluppare”.

 

L’autonomia scolastica nelle norme istitutive. I criteri generali e principi direttivi dell’autonomia scolastica (AS) sono efficacemente ed esaustivamente contenuti nell’articolo 21 commi 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10 e 11 della legge 59/1997. Per la concessione dell’autonomia le scuole dovevano essere dimensionate per un numero complessivo di alunni determinato fra 500 e 900 (DPR 233/1998) Contestualmente si conferiva la Dirigenza ai Presidi come una delle condizioni per l’esercizio dell’autonomia.

 

Sulla base di quei criteri e principi è stato varato il DPR 275/1999 recante il Regolamento dell’autonomia scolastica. Esso declina l’autonomia come didattica, organizzativa, di ricerca sperimentazione e sviluppo, come esattamente recitava la legge istitutiva.

 

Inoltre il DPR citato introduce il Piano dell’Offerta Formativache è elaborato dal Collegio dei Docenti sulla base degli indirizzi generali definiti dal Consiglio di Istituto, il quale, verificata la congruenza fra Piano e indirizzi, alla fine lo adotta. Lo stesso DPR istituiva le reti di scuola.

 

L’autonomia scolastica è stata tradita. Il disegno governativo non inverte affatto la tendenza, ma anzi peggiora in alcuni aspetti l’esistente.

 

Il disegno di legge “La Buona Scuola” dice di voler dare “piena attuazione all’autonomia”. In realtà aggiunge: a) 32 (trentadue) obiettivi che le scuole devono perseguire (art. 2 comma 3) con inutili parole e superflui concetti perché già tutti contenuti nelle norme istitutive citate, b)lesione dell’autonomia degli organi collegiali a favore di un organo monocratico (il dirigente scolastico). Tutto questo dovrebbe avvenire grazie all’organico funzionale.

 

L’organico funzionale, in verità già citato come “organici funzionali di istituto” dalla legge 59/1997, aveva come prioritario obiettivo la realizzazione della continuità didattica attraverso personale stabile, la possibilità di ampliamento dell’offerta formativa rispetto allo standard nazionale, la certezza delle risorse al 1 settembre di ogni anno scolastico, la libera allocazione delle risorse, la realizzazione di interventi “perequativi” (comma 4 della citata legge).

 

E tale intenzione si muoveva nell’ambito di una scuola a dimensione ottimale con non meno di 500 e non più di 900 alunni, di una scuola col tempo pieno e prolungato, con 130.000 circa unità di personale in più, con un finanziamento per l’autonomia ammontante a 258 milioni di euro (e oggi ridotto a 93 milioni di euro), con un finanziamento per la formazione ammontante a 42 milioni di euro (oggi da anni ridotto a 5 milioni di euro, e ancora sarà insufficiente, date le necessità maturate, l’incremento di 40 milioni di euro previsti dal ddl), con un finanziamento per il funzionamento amministrativo e didattico ammontante a 331 milioni di euro (e oggi ridotto a 110 milioni di euro e certamente non reintegrato dai 126 milioni del ddl), stipendi per i supplenti 889 milioni (e oggi ridotto a 600 milioni di euro), con un Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa di 1.389 milioni di euro (e oggi ridotto a 689 milioni di euro).

 

Trentadue obiettivi che il personale è chiamato a realizzare sono già nella legge istitutiva.

 

Gli obiettivi che la legge si propone di assegnare ai docenti sono propri dell’autonomia e sono declinati in poche parole dai commi 8, 9, 10 della legge 59/97 e dal DPR 275/99. E si trovano già tutti nelle stesse leggi i concetti di scuole aperte, di innovazione tecnologica, di sperimentazione didattica e organizzativa, di programmazione oraria diversificata, di classi aperte, di programmazione plurisettimanale e di tutto quello che nel ddl si presenta come novità o come apertura al nuovo.

 

Le stesse nuove materie da fare con l’organico funzionale saranno, in verità, aleatoriamente affidate al personale disponibile che innanzitutto sarà però chiamato a fare prioritariamente il supplente. Le vere leggi sono fatte di poche parole e di pochi articoli e non sono trattati verbosi e inutilizzabili e perciò deresponsabilizzanti. Indichiamo ai nostri legislatori del momento un solo esempio, la legge istitutiva della scuola media che ha cambiato l’Italia (legge 1859/1962) con 15 articoli con pochissimi commi ciascuno e con ciascun comma definito in due o tre righe.

 

Un dirigente che detta gli indirizzi travolge la collegialità e la scuola come comunità.

 

Per la prima volta (non era stato fatto neppure dal centrodestra con i ministri Moratti e Gelmini) viene manomesso il Regolamento dell’autonomia. Non è più il Consiglio di istituto a dettare gli indirizzi del POF ma è il dirigente scolastico. E il Collegio e il Consiglio perdono la loro pari dignità di Organi collegiali venendo, peraltro, subordinati ad una figura monocratica quale il dirigente scolastico.

 

Lo schema fa iniziare il processo decisionale dal dirigente scolastico e lo fa concludere nella stessa figura. Infatti, mentre nella norma attuale è il Consiglio di Istituto a dettare gli indirizzi a cui il Collegio, nell’elaborare il POF, si deve attenere per poi consentire al Consiglio di adottarlo (e non approvarlo come ora recita il ddl), ora il nuovo testo assegna gli indirizzi al dirigente scolastico.

 

Ciò vuol dire che una figura monocratica assume un potere di supremazia sugli organi collegiali, dal momento che può sempre respingere le elaborazioni del Collegio o le approvazioni del consiglio in quanto non conformi agli indirizzi da esso dettati.

 

Gli Organi Collegiali di colpo si trovano ad essere subordinati ad una persona e perdono la loro parità nel proprio campo giacché il Collegio (organo tecnico-professionale che ha supremazia in campo pedagogico-didattico) può vedersi respingere le proprie elaborazioni perdendo perciò quella supremazia in quel campo.

 

Da una linea di coordinazione – collaborazione – dialogo si passa ad una linea di comando e allo scardinamento della distinzione delle competenze che è uno dei principi cardine dell’adeguatezza e coerenza dei poteri fra gli organi dell’amministrazione.

 

La scuola cessa di essere “formazione sociale” autonoma per ritornare ad essere terminale burocratico dell’Amministrazione identificantesi nel suo rappresentante di vertice e non più nella comunità plurale che la compone.

 

Ciò scaturisce anche dalla rottura delle relazioni cooperativo-paritarie oggi vigenti nelle scuole che si determinerà con la chiamata diretta dei docenti, con la valutazione e con l’erogazione di premi per pochi (operazioni tutte intestate al dirigente scolastico. Invece di potenziare le “autonomie” professionali rappresentate dai docenti singoli o in formazione collegiale si rafforzerà il potere di una sola figura, in quante tale e di per sé antiautonomistico.

 

Le reti di scuole da facoltative diventano obbligatorie e si accolleranno incombenze amministrative.

 

Oggi l’autonomia scolastica – art. 7 del Regolamento – consente la costituzione libera di reti di scuole con finalità specifiche riconducibili alla volontà delle singole scuole di associarsi e perseguire scopi di istituto (attività didattiche, aggiornamento e formazione, amministrazione).

 

Con il ddl l’iniziativa passa al MIUR che, dopo aver emanato delle linee guida, tramite gli Uffici scolastici regionali, “promuoverà” la costituzione di reti per “l’utilizzo dei docenti…nonché di assistenza e di integrazione sociale delle persone con disabilità, anche per insegnamenti opzionali, specialistici, di coordinamento e di progettazione funzionali ai piani triennali dell’offerta formativa delle scuole in rete” e per preparare l’istruttoria sulle “cessazioni del servizio, pratiche in materia di contributi e pensioni, progressioni e ricostruzioni di carriera, trattamento di fine rapporto del personale della scuola”. E tutto naturalmente senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, come recita il mantra del profluvio di “finte” novità che la legge si incarica di declinare con dovizia di inventiva linguistica e di particolari e che le scuole poi devono fare, da sole, o, come in questo caso, in rete.

 

Con un colpo solo, anche qui, le scuole, tramite le reti, vengono sovraccaricate di funzioni che nulla hanno a che fare con la missione della scuola stessa e, di fatto perdono la loro libertà associativa. Quale scuola mai si rifiuterà di costituirsi in rete sotto i diktat del MIUR e degli USR (Uffici scolastici regionali)? Ed esse, già deprivate di personale amministrativo (altri 2020 tagli della finanziaria 2015 andranno a regime dal settembre prossimo) e di DSGA titolari (il concorso non si svolge da più di dieci anni) faranno lavori che nulla hanno a che spartire con la didattica e la formazione delle nuove generazioni.

 

Autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo.

 

La rilettura dei testi normativi fondamentali dell’AS ci dice che essi contengono in sé, in maniera efficace e sintetica, tutto quanto v’è da dire sulla materia (Vedi commi 8, 9 e 10 dell’articolo 21 legge 59 citata). Ma nel testo licenziato dalla Camera dei Deputati, gli stessi argomenti vengono ripresi alla rinfusa e sparsi nei vari articoli per cui si spacciano come novità il superamento dei vincoli dell’unità oraria, dell’unitarietà del gruppo classe, come anche la libertà delle modalità di impiego dei docenti o la libertà progettuale compresa l’eventuale offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi e aggiuntivi fermo restando il rispetto del curriculum nazionale.

 

Ciò appartiene già all’AS che è stata però soffocata dai tagli, dal burocratismo ministeriale, dal definanziamento, dalle almeno due finte riforme Moratti e Gelmini, dalla denigrazione del lavoro docente, dall’incertezza finanziaria in cui le scuole versano anno dopo anno tanto da dover ricorrere al soccorso delle famiglie, dal disinvestimento di almeno un punto di PIL che essa ha subito, da una vera mancata riforma dei cicli, dall’inesistente investimento sulla formazione del personale, dalla mancata cura del docente come ricercatore didattico sul campo, dalla mancata stabilizzazione del personale docente e ata, dalla mancata cura di una forte e generalizzata scuola dell’infanzia e di un obbligo scolastico a 18 anni, dall’assenza di un efficiente e forte sistema di educazione degli adulti, e, in definitiva, dal voler continuare ancora oggi a ricercare nella insufficienza dei docenti la causa dei mali della scuola e non invece nella insufficienza del ceto dirigente italiano (unico fra i ceti dirigenti dei paesi avanzati a distinguersi nella vera e propria persecuzione della scuola pubblica).

 

La vera autonomia: una pianta che va curata. La scuola italiana ha bisogno non di meno, ma di più autonomia. Un’autonomia peculiare, non importata, e perciò non competitiva ed efficientistico-manageriale.

 

Autonomia compensativa. Ritorniamo al comma 5 dell’articolo 21 della legge 59 cit: l’autonomia si deve fondare su “una analisi delle realtà territoriali, sociali ed economiche delle singole istituzioni scolastiche per l’adozione dei conseguenti interventi perequativi”. Questa che viene prefigurata è una scuola dell’emulazione , non della competizione, per il semplice motivo che la nostra Costituzione deve assicurare su tutto il territorio nazionale il medesimo livello essenziale di prestazione in materia del diritto sociale all’ istruzione (art. 117).

 

Autonomia didattica. Possibile solo se la scuola non viene vessata da mille “educazioni” posticce e se non viene sovraccaricata di funzioni che non le sono propri. Date le indicazioni didattiche, ogni classe, ogni docente, ogni alunno devono trovare la strada. Le norme generali, poche e ben scritte, saranno l’’alveo entro cui operare.

 

Autonomia organizzativa. Finora è stata tarpata dalle molestie dei tagli e delle intrusioni esterne. Le scuole diventate “monstre”, ben lontane dal parametro ottimale 500-900 alunni, sono allo stremo: talora senza DS, talora senza DSGA, sempre a corto di personale. Diamo certezze di risorse al primo settembre, diamo certezza di personale, ripristiniamo parametri plausibili di gestibilità e l’autonomia organizzativa ripartirà. Ma soprattutto ripartirà se viene ripristinato e incrementato il fondo dell’Istituzione scolastica (FIS): l’unico strumento in questi ultimi 10 anni che ha consentito la flessibilità organizzativa alle scuole e che ora è stato più che dimezzato.

 

Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Il disprezzo da parte del decisore politico per i docenti non ha mai fatto evidenziare l’importanza di questa dimensione autonomistica. I docenti sono produttori consapevoli e, talora, inconsapevoli di buone pratiche: favorire la riflessione sul proprio lavoro, fissarlo e diffonderlo dovrebbe essere una priorità per la scuola italiana. Ma chi crede che i docenti siano capaci di tanto? E invece ne sarebbero capaci se un MIUR ormai privo di ispettori e specialisti (diventati tutti amministrativi e giuristi) ritornasse ad interpretare l’interesse generale della scuola pubblica.

 

Autonomia “specificamente” scolastica. Pratiche che una volta erano svolte da Provveditorati e altre soggetti amministrativi ora sono intestate alle scuole: stipendi, pensioni, sicurezza, ricostruzioni di carriera. Alle scuole rimanga solo ciò che è scolastico, cioè immediatamente finalizzato a produrre cultura e formazione (acquisti didattici, visite e viaggi, rapporti con gli enti esterni interessati alle scuole, ecc.)

 

Scuole di dimensioni ottimali. Una comunità scolastica, importante formazione sociale (art. 5 Costituzione), ha senso se può agire come comunità di pratiche, se i membri si possono conoscere e operare insieme. Non è più così dopo gli innumerevoli interventi sulla dimensione delle scuole. Il Senato della repubblica nel 2012 indicò una media di 900 alunni come dimensione ottimale. Si dia corso a quella indicazione rimasta inevasa.

 

 

Rappresentanza di scuole autonome. Le reti di scuole esistono sulla carta e talora operano con successo. Ma non riescono ad esprimere una forza di soggetto”costituzionale” ascoltato al pari di altre autonomie della Repubblica. Accanto alle reti, da non snaturare come proposto dall’attuale art. 8 del ddl governativo, occorre dare alle scuole una Rappresentanza che sul territorio (ambiti territoriali e Regioni) e a livello nazionale abbia una sua voce. Ogni atto che riguardi la scuola dovrebbe passare attraverso l’ascolto e il vaglio di tale Rappresentanza ai vari livelli. Occorre costruire una vera autonomia fra altre Autonomie e dare ad essa voce e a autorevolezza.

 

 

L’autonomia negli Organi collegiali. Uno degli atti che si dovevano accompagnare al varo dell’AS era la riforma degli obsoleti organi Collegiali del 1974. Nessuno se ne è fatto carico veramente. Chi ci ha provato non lo ha fatto per “amore di scuola” ma solo per marketing politico. La FLC CGIL lo ha fatto in tre modi: il primo, opponendosi al varo di Organi collegiali regressivi e antiautonomistici; il secondo, avanzando precise proposta di riforma; il terzo, battendosi affinché venisse ripristinato l’organo di rappresentanza nazionale (Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione) abolito nel 2103 dal Ministro Profumo. Le elezioni svoltesi il 28 aprile 2015 sono frutto di questo impegno giudiziario e politico della FLC CGIL che porterà al suo imminente insediamento.

 

Ma certamente ciò non basta. Occorre riformare in profondità gli Organi collegiali, sulla base della distinzione delle competenze fra gli organi, della supremazia del collegiale sull’individuale, della partecipazione con funzioni vere e non di facciata dei protagonisti (docenti, personale ATA, genitori e studenti). Facendolo con la metodologia democratica “alla francese”: insediamento di una commissione di studio e proposta, discussione di massa non solo online ma nella società e nelle scuole, varo della legge da parte del Parlamento sovrano.