Nei giorni dell’inaugurazione della Camera del Lavoro di Cosenza si è tenuta l’Assemblea Nazionale Università, organizzata dalla FLC CGIL all’Università della Calabria.
Iniziativa che nasce per dare seguito all’assemblea che si tenne a Roma nell’ottobre del 2015, ricorda in apertura Mimmo Denaro, segretario generale FLC CGIL Calabria, assemblea che era nata per fotografare la situazione drammatica dell’Università e per costruire proposte concrete per uscire dall’emergenza. “Purtroppo da allora poco è cambiato e questa per noi è un ulteriore occasione per rilanciare il ruolo dell’Università”.
La scelta dell’Ateneo di Cosenza non è infatti casuale. Ripartire dal Sud, “in un territorio come il nostro dove la valanga territoriale troppo spesso ci impedisce di andare avanti – dice il Rettore Gino Mirocle Crisci nel suo discorso di benvenuto – è quello che può fare la differenza nel nostro Paese. Abbiamo tutto da offrire”.
“Affrontiamo i nodi del sistema universitario partendo dal mezzogiorno – ha incalzato nella sua relazione introduttiva Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL. È impensabile che questo Paese possa avere un’idea di sviluppo senza pensare a questo. Da questo osservatorio importante, l’Università di Cosenza, che ha una bella storia, vogliamo riflettere sullo stato delle cose. Ragioneremo anche della condizione del lavoro nell’università, guarderemo alla situazione del sistema universitario e di chi ci lavora, individuando criticità ma anche traiettorie. Dalla nostra prima iniziativa, nel 2015, i divari si sono maggiormente aggravati, tra gli atenei, all’interno del personale, tra dipartimenti e discipline. E c’è chi ha beneficiato di una sciagurata politica di valutazione che ha legittimato questi divari, premiando università già ricche e potenti e devastando quelle del sud, con l’effetto di una migrazione intellettuale di massa da sud a nord che ricorda gli anni Sessanta e Settanta. Il nostro messaggio da Cosenza è dunque il seguente: noi vogliamo ricostruire i paradigmi di senso dell’università consapevoli che è giunto il momento di una svolta vera ed efficace”. Occorre pertanto riportare la riforma del sistema dell’istruzione e dell’università nell’alveo dei diritti e dei doveri prescritti dalla Costituzione, articoli 3, 33 e 34, perché, ha concluso il segretario generale FLC, “sappiamo che se non si apre una più generale vertenza nazionale per l’istruzione, l’università e la ricerca nel nostro Paese, andremo poco lontano. Tutti”.
Ed è proprio sui nodi dei divari territoriali che si sono focalizzati i lavori della prima tavola rotonda, coordinata da Paolo Fanti, segretario generale FLC CGIL Basilicata che, in apertura, si è voluto soffermare sul paradosso, tutto italiano, di un sistema universitario che dovrebbe essere luogo creato per colmare i divari e come, invece, in questi anni, attraverso alcuni strumenti come la valutazione, gli siano stati creati attorno meccanismi che accentuano ancora di più queste differenze.
“La valutazione non è un modo per ridurre i divari – ha sostenuto Alberto Baccini, Università di Siena – piuttosto serve ad individuare università ritenute migliori di altre ed a concentrare lì le risorse. Chi dice che non lo fa mente.” Il meccanismo di finanziamento associato alla performance è un meccanismo non così diffuso in altri paesi, siamo uno dei pochi paesi ad usarlo in modo così radicale. E visto che questo modo di redistribuire le risorse non è andato a buon fine si è rincarata la dose, utilizzando lo stesso strumento per i dipartimenti di eccellenza. E a farne le spese sono stati i ricercatori, i docenti, tutti i lavoratori che fanno università tutti i giorni, la cui condizione è cambiata in maniera radicale. Questo sistema di valutazione non solo sta creando divari nel nostro Paese ma ci sta allontanando dai Paesi che fanno scienza in maniera solida”.
A vivere sulle propria pelle questi divari sono soprattutto gli studenti. “Incidono sulla possibilità di iscriversi all’università – afferma Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale UDU. Le tasse universitarie al Sud, uno degli ostacoli formali per gli studenti, sono aumentate del 90% negli ultimi dieci anni, al nord 70%. Le regioni che non hanno copertura totale sono Calabria, Campania, Molise e Sicilia.” E la situazione degli alloggi è anche peggio: “in Italia soltanto un terzo degli studenti che avrebbe diritto entra poi effettivamente nelle residenze. Sono anni che chiediamo ci vengano garantiti i diritti fondamentali, ma purtroppo c’è un continuo rimbalzarsi di responsabilità tra governo, ministero e regioni con una volontà comune di non risolvere nulla.
Rubare ai poveri per dare ai ricchi, questo fa il sistema di valutazione. “Il divario è tra territori fragili e forti, tra giovani e antichi – afferma Aurelia Sole, rettrice Università di Potenza. Il nostro ateneo è nato non solo per rispondere all’esigenza di aprire una istituzione universitaria dove prima non c’era, ma anche per rispondere a una esigenza supplementare, come risposta dello stato dopo una pensatissima calamità. Perché l’Università crea competenza, innovazione, ed è soprattutto presidio sociale e culturale. I governi devono ripensare il sistema universitario e lavorare per rafforzare gli atenei collocati nelle aree più deboli e sensibili del nostro paese”.
“In questi anni di crisi economica dal 2008 ad oggi, come già ci siamo detti due anni fa – ha incalzato Andrea Torti, coordinatore nazionale LINK, il nostro sistema universitario si è limitato a fotografare le disuguaglianze e ha creato università di serie A e di serie B. Atenei interi si sono svuotati. E di contro migliaia di studenti fuori sede hanno riempito i mega poli delle grandi città dove hanno trovato tanti problemi di welfare. Così è difficile invertire la rotta. Gratuita e accessibile a tutti: ecco come dovrebbe essere la nostra università”.
È una metafora dell’Italia, una metafora della democrazia. Gianfranco Viesti, Università di Bari, nel suo intervento usa proprio queste parole. “Siamo i più ignoranti d’Europa, navighiamo nella deriva delle disuguaglianze. Stiamo andando nella direzione di una società molto più dispari, con un sistema universitario più piccolo e concentrato in alcune sedi. Una società lontanissima dal merito. Le politiche di questi anni sono state costruite male, con errori marchiani.
Le università dovrebbero collaborare e invece queste politiche hanno fatto scoppiare la guerra tra le sedi, in un meccanismo che ha a che fare solo con il particolarismo. Il grande fruitore di queste politiche è il cittadino, e noi dobbiamo stare dalla sua parte. Ma dipende tutto da una domanda: qual è l’Italia che vogliamo?”.
L’Università è un bene essenziale di cui non possiamo fare a meno. “Il vero spreco è non investire nell’università”, così ha iniziato Daniela Palma, ricercatrice ENEA, la seconda tavola rotonda pomeridiana sull’Istruzione, la Ricerca e lo sviluppo sostenibile. “Siamo ormai in un circolo vizioso. Siamo usciti dalla crisi ma non riusciamo ad andare avanti. E siamo uno dei pochi paesi che non investe in conoscenza”.
“La conoscenza ha un ruolo essenziale per il Paese ma quello che serve per permettere alla conoscenza di cambiare la società è una struttura integrata – ha affermato Luciano Pietronero, Università La Sapienza di Roma. Il Sud non è un’entità unica. Non ha senso fare proposte per un mezzogiorno in generale. Bisogna studiare le barriere regione per regione, individuare le potenzialità regione per regione e capire e poi agire su scala nazionale. E l’Italia deve cominciare a chiedere innovazione. Non può più farne a meno”.
Andrea del Monaco, esperto di fondi europei e autore di “Sud, Colonia Tedesca”, nella sua relazione ha provato ad analizzare il motivo per cui l’Italia non cresce più e a spiegare perché, secondo lui, il Sud Europa e il Sud Italia rischiano di essere una colonia del sistema europeo trainato dalla Germania. “È necessario capire come costruire una serie di parametri tecnici che cambino quegli attuali consentendo l’investimento pubblico. Con le politiche attuali i cervelli continueranno ad emigrare. A noi serve un progetto di riforma della struttura produttiva del Paese”.
“Per impedire ai nostri cervelli di emigrare dobbiamo riportare cultura e ricerca in tutti i territori, specialmente in quelli in difficoltà – ha dichiarato Massimo Carpinelli, rettore Università di Sassari, portando l’esempio della Sardegna, luogo perfetto per esperimenti legati alle onde gravitazioni, per le quali è stato recentemente conferito un premio nobel. “Noi possiamo candidare i nostri luoghi ricchi di risorse affinché vengano scelti. Invertiamo il trend, polarizziamo le risorse. Abbiamo la possibilità per farlo”.
“L’approccio politico è quello giusto – ha poi concluso Domenico Cersosimo, Università della Calabria. Servono politiche nazionali, differenziate, ma nazionali. Il sindacato può fare la differenza. Ripensiamo ad una rappresentanza che torni ad unirci, perché chiuderci nelle nostre torrette d’avorio forse non è la scelta giusta. Fa benissimo la CGIL ad insistere e a chiamare a raccolta i sonnacchiosi professori universitari”.
La seconda giornata riprende con i saluti di Umberto Calabrone, Segretario generale della Camera del Lavoro di Cosenza e di Angelo Sposato, Segretario generale CGIL Calabria, fieri di poter ospitare un’iniziativa nazionale di tale importanza, fondamentale per dare un messaggio al Paese.
“Condividere analisi e proposte che guardano ai grandi temi dell’università, a partire dal reclutamento, dalla necessità di superare il precariato, dalle emergenze del personale tecnico amministrativo e del personale docente, che vive una stagione particolare: questo vuole essere l’intento di questa due giorni”, ha dichiarato Pino Di Lullo, segretario nazionale FLC CGIL, nella relazione introduttiva che ha dato avvio al dibattito. Un dibattito fitto e molto ricco, con tantissimi interventi da tutta Italia, che ha toccato molti dei temi emergenziali e che ha restituito una volontà comune al sindacato e a tutta la comunità universitaria: rimettere al centro l’unità per ricostruire un sistema universitario nazionale con politiche nazionali, seppur differenziate, che potenzino il territorio nelle sue peculiarità.
La missione del sindacato vuole e deve andare in questa direzione, specialmente in questa stagione contrattuale, complicata ma decisiva. “Dieci anni fa abbiamo fatto la FLC e non speravamo che oggi quattro comparti pubblici potessero essere inclusi in un unico comparto di contrattazione – ha infatti sollecitato Di Lullo, questa è una responsabilità politica da parte nostra. Vogliamo fare il migliore contratto possibile per tutti i lavoratori. La nostra forza è la forza lavoro dei nostri compagni nei luoghi di lavoro. E noi adesso spingeremo al massimo per lavorare insieme”.
Lavorare insieme senza dimenticare nessuno, anzi, ricordandoci di chi ha ancora molto poco: i precari. In questa battaglia un momento fondamentale per la FLC CGIL sarà riuscire a far contrattualizzare gli assegnisti di ricerca, modificando radicalmente il loro status.
“Abbiamo dimostrato che si può fare un’assemblea nazionale a Cosenza” ha dichiarato fiero Francesco Sinopoli, “una scommessa in cui tutti abbiamo voluto credere e che l’incredibile partecipazione di questi giorni ha voluto dato ragione”.
Una scommessa che secondo Susanna Camusso, a cui sono state affidate le conclusioni di questa due giorni, è segno di cambiamento: “la scelta di fare un’assemblea nazionale dell’università qui in Calabria – ha dichiarato il Segretario Generale della CGIL – è una scelta totalmente in controtendenza rispetto al modo in cui il Paese sta affrontando la questione dell’università. E che la FLC CGIL lo abbia fatto con un impegno nazionale lo è ancora di più. È segno che il lavoro che stiamo cercando di fare per riproporre il tema che non esiste un Paese che si riprende se persiste un divario tra nord e sud produce un’idea compiuta su quale devono essere le nostre priorità”.
“Il messaggio sbagliato che si è diffuso in questi anni – ha continuato il Segretario Generale della CGIL – è che l’Università pubblica, così come tutte le altre istituzioni pubbliche, non sia essenziale per la vita dei cittadini. Questo è il vero divario del nostro Paese. Quello che dobbiamo fare è provare a ridare all’Istruzione la funzione primitiva di ricostruzione di cittadinanza e di lettura critica del mondo ai cittadini. E c’è solo un modo per farlo: ricostruire l’idea di un sistema universitario collettivo”.
“Abbiamo una grande opportunità adesso – ha concluso Camusso – il rinnovo del Contratto. Rappresenta per noi un cambiamento di fase, che nessuno ci ha regalato ma che ci siamo guadagnati in anni e anni di lotte. Il Contratto ci potrà permettere di costruire un primo scalino fondamentale nel percorso verso un’Università infrastruttura del Paese che possa tornare a fare la vera differenza nella vita pubblica del nostro Paese”.