anief logoLe motivazioni della sentenza n. 178 della Consulta, rese pubbliche in queste ore, danno piena ragione a quanto sostenuto da sempre da Anief-Confedir: i conti dello Stato non possono in nessun caso prevaricare il diritto dei lavoratori esercitati attraverso la contrattazione sindacale finalizzata al rinnovo di contratto. E’ sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’art.39 della Costituzione, proprio per questo, non è più tollerabile. Per il ministro della PA, Marianna Madia, il rinnovo potrebbe arrivare entro 150 giorni con la Legge di Stabilità 2016. A sperare sono circa 3,3 milioni di dipendenti impiegati nelle Pubbliche Amministrazioni con un costo teorico che potrebbe raggiungere i 5-7 miliardi di euro.

 

Nella scuola la situazione degli stipendi è a dir poco critica: in Italia le buste paga dei docenti sono cresciute ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%, mentre nella media Ocde l’incremento è stato del di ben il 15-22%. Impietosi anche i dati Aran a livello di intera PA: tra il 2008 e il 2015, mentre i dipendenti statali si sono visti incrementare lo stipendio del 9,4%, i colleghi del comparto privato li hanno praticamente “doppiati”, incassando un aumento del 18,9% (con il settore Industria che ha raggiunto il 22,3% di incrementi).

 

Marcello Pacifico (Anief-Confedir-Cisal): purtroppo per il futuro c’è poco da essere ottimisti, perché con il nuovo contratto arriverà la riforma Brunetta, il decreto legislativo 150/09, che cancella l’anzianità di servizio e gli aumenti a pioggia per gli statali, dando spazio solo ad incentivi legali al merito. E rimane scrutinabile ancora il blocco decennale (2008/2018) dei valori dell’indennità di vacanza contrattuale. Ecco perché i soldi previsti dal Governo Renzi sono molti di meno.

 

Le motivazioni della sentenza n. 178 della Consulta sull’inammissibilità del blocco del pubblico impiego, rese pubbliche in queste ore, danno piena ragione a quanto sostenuto da sempre da Anief-Confedir: i conti dello Stato non possono in nessun caso prevaricare il diritto dei lavoratori esercitati attraverso la contrattazione sindacale finalizzata al rinnovo di contratto. “Il carattere ormai sistematico di tale sospensione – scrivono i giudici nella Sentenza – sconfina in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale, indissolubilmente connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti normativi e da controlli contabili penetranti, ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria”.

 

“Il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’art.39 della Costituzione proprio per questo, non è più tollerabile. Solo ora si è palesata appieno la natura strutturale della sospensione della contrattazione e può, pertanto, considerarsi verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale, che spiega i suoi effetti a séguito della pubblicazione di questa sentenza”, ha spiegato ancora la Corte Costituzionale.

 

Il problema, ora, è rendere esecutiva la sentenza, che nelle intenzioni del giudice avrebbe dovuto indiscutibilmente superare il blocco dei contratti, previsto prima dalla Legge 122/2010 fino al 2012, poi dalla Legge 147/2013 fino al 2014, e ancora dalla Legge 190/2014 sino a tutto il 2015. La novità del rinnovo, cui fa riferimento la Consulta, non è da poco: coinvolgerebbe “circa 3,3 milioni di dipendenti impiegati nelle Pubbliche Amministrazioni, con un costo che potrebbe raggiungere i 5-7 miliardi di euro”, scrive la stampa specializzata.

 

Purtroppo, le premesse non sono affatto buone, perché “nell’ulti­mo Documento di economia e fi­nanza, i tecnici di Pier Carlo Pado­an hanno messo nero su bianco solo un impegno di spesa per il 2016 pari ad 1,66 miliardi di euro, che salgono a 4,16 miliardi nel 2017 e a 6,69 miliardi nel 2018. Fonti vicine all’esecutivo hanno fatto intendere che lo sblocco, nel 2016, potrà interessare solo le retribuzioni più basse in quanto, altrimenti, si finirebbe per comprimere gli interventi destinati alla lotta alla povertà (il cd. reddito minimo)”.

 

Sulla vicenda è intervenuto il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, il quale si è però limitato a dire che “nella discussione sulla prossima legge di stabilità capiremo le risorse e da lì dobbiamo partire, tra l’altro si tratta di una discussione da fare da adesso, in autunno”. Il problema delle risorse, in ogni caso esiste: era stato anche sollevato nella memoria dell’Avvocatura dello Stato secondo cui l’articolo 81 della Costituzione “assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

 

I segnali che conducono ad un rinnovo contrattuale equo, quindi, sono avversi. Il rischio concreto è che la sentenza della Corte Costituzionale non produca effetti pratici sulle buste paga dei lavoratori pubblici italiani. Eppure, occorre assolutamente un segnale di inversione di tendenza. Gli ultimi dati Istat, scrive Teleborsa, ci dicono che “nei primi sei mesi del 2015 la retribuzione oraria media è cresciuta dell’1,1% rispetto al corrispondente periodo del 2014. Con riferimento ai principali macrosettori, le retribuzioni contrattuali orarie registrano unincremento tendenziale dell’1,5% per i dipendenti del settore privato e unavariazione ancora nullaper quelli della pubblica amministrazione. I settori che a giugno presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono:agricoltura (3,9%);energiae petroli, estrazione minerali, gomma, plastica e lavorazione minerali non metalliferi (3,0%); metalmeccanica(2,7%)”, conclude l’agenzia di stampa economica.

 

Anief-Confedir, tuttavia, ricorda che il problema non è più nemmeno limitato allo sblocco del contratto, passaggio comunque ineludibile e impellente se si vuole uscire da questo pantano stipendiale che in cinque anni di stop ha portato le buste paga dei dipendenti pubblici sotto l’inflazione di oltre 3 punti percentuali (quelle della scuola, il cui contratto è fermo dal 2009, ha toccato quota -4%). C’è un altro scoglio, oltre al rinnovo contrattuale, da superare. Ed è ben più alto. Perché riguarda l’applicazione del decreto legislativo 150/2009, la riforma della PA tanto voluta dall’ex ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, l’allora ministro della Funzione pubblica.

 

Assieme alla successiva intesa interconfederale, quella riforma ha di fatto sostituito il criterio del merito per anzianità con quello per prestazione individuale all’interno dell’unità aziendale di riferimento. Stabilendo che dal rinnovo contrattuale successivo, quello che potrebbe arrivare dopo l’autunno, saranno i dirigenti a premiare il personale “degno” di aumento, attraverso il salario accessorio. È una modalità, tra l’altro, già anticipata nella Scuola, attraverso la neonata riforma, la Legge 107/15, che stabilisce gli aumenti attraverso i criteri definiti dal nucleo di valutazione d’Istituto e, successivamente, da conformare alle linee guida ministeriali.

 

“Ecco perché il Governo in carica non ha stanziato cifre adeguate allo sblocco dei contratti pubblici – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal -: la verità è che la riforma Brunetta, il decreto legislativo 150/09, ha cancellato del tutto l’anzianità di servizio e gli aumenti a pioggia per gli statali, dando spazio solo ad incentivi legali al merito. Quanto è stato approvato con la riforma della Scuola è un’anticipazione non casuale. E rimane scrutinabile ancora il blocco decennale (2008/2018) dei valori dell’indennità di vacanza contrattuale”.

 

“Si tratta – continua Pacifico – di una situazione di impasse davvero difficile da superare. E che non è certo una novità: negli ultimi cinque anni, a livello di lavoro dipendente, sono stati applicati solo aumenti di stipendio nel settore privato. Come certifica, del resto, l’Aran, in particolare attraverso il contemporaneo aumento dell’inflazione. Con i lavoratori pubblici, ad iniziare dagli insegnanti, che hanno perso sempre più terreno: oltre ad essere tra i peggiori pagati nell’area Ocde, sono diventati indiscutibilmente più poveri rispetto a cinque anni fa. Senza dimenticare che agli insegnanti neo-assunti, dal 2011 è stata anche ‘raffreddata’ la carriera con l’assurda e anti-europea abolizione del primo gradino stipendiale”.

 

Il sindacato non può non ricordare che a fronte di quasi un orario di insegnamento annuale analogo a quello degli altri Paesi (Italia 770 ore nella primaria – Ocse 790; 630/709 nella secondaria di primo grado, 630/664 nella secondaria di secondo grado), a fine carriera i docenti italiani percepiscono dai 6mila agli 8mila euro in mero rispetto ai colleghi dell’area Ocde. Fatto 100, lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 Paesi economicamente più progrediti, le buste paga in Italia sono cresciute infatti ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del di ben il 15-22%.

 

A livello di intera pubblica amministrazione, le cose non vanno meglio. I dati pubblicati dall’Aran sulle retribuzioni a fine 2013 ci hanno detto che mentre le buste paga dei pubblici dipendenti sono rimaste al palo, lo stipendio dei lavoratori privati è invece continuato a crescere di quasi due punti percentuali. Un anno dopo, a fine 2014, sempre l’Aran ha fatto sapere che l’incremento nel privato è stato comunque attorno all’1,5%. Su un arco temporale più lungo, tra il 2008 e il 2015, il gap diventa ancora più vistoso: mentre i dipendenti statali si sono visti incrementare lo stipendio del 9,4%, i colleghi del comparto privato li hanno praticamente “doppiati”, incassando un aumento del 18,9% (con il settore Industria che ha raggiunto il 22,3% di incrementi).

 

Per questi motivi, in attesa di una legge che superi la riforma Brunetta 150/09, il sindacato ha predisposto apposito ricorso, al fine di allineare lo stipendio almeno ai livelli del costo della vita, recuperano le somme non assegnate negli ultimi sei anni: per gli interessati è stata predisposta un’apposita sezione informativa e di adesioni. In assenza di norme che tutelano i lavoratori, Anief-Confedir ha quindi promosso anche appositi ricorsi per il recupero dell’indennità di vacanza contrattuale, per il recupero del primo gradone stipendiale sottratto a tutti i neo-assunti a partire dal 2011  e per il recupero di tutti gli anni di precariato nella ricostruzione di carriera del personale assunto.