Rimangono fuori dalle assunzioni e addirittura dalle supplenze tantissimi docenti abilitati, da anni impegnati nell’insegnamento su posti vacanti. Viene elusa la sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 26 novembre. Via libera alla chiamata diretta incostituzionale. A rischio reggenze di migliaia di istituti e la governance delle scuole.
Marcello Pacifico (presidente Anief e candidato al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione): non ha senso lasciare fuori dalle assunzioni coloro che fanno parte delle liste d’istituto o che si sono abilitati con TFA, PAS, diploma magistrale, cancellati o mai inseriti: hanno conseguito l’abilitazione con lo stesso percorso didattico e le stesse selezioni in entrata e in uscita. Sarebbe bastato realizzare un censimento dei posti effettivamente vacanti per accorgersi che circa l’80 per cento di quelli oggi conferiti al 30 giugno sono in realtà a tutti gli effetti liberi: quindi utili per le immissioni in ruolo. E, allo stesso, tempo ci sono una miriade di altri problemi che il ddl non solo non risolve, ma acuisce. Come l’assurdità della chiamata diretta, già cassata dalla Consulta nel 2013, in occasione di un altro tentativo maldestro: quello della Regione Lombardia.
Dopo un mese di attesa, il disegno di legge sulla Buona Scuola arriva in Parlamento: il documento, catalogato come n. 2994, è stato presentato dai Ministri Giannini, Madia, Padoan e denominato “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Il percorso per l’approvazione partirà nei prossimi giorni, già da giovedì ci saranno le prime audizioni presso la Commissione Cultura della Camera che ha accolto il testo. Sarà l’occasione per i parlamentari di comprendere i tanti limiti e le troppe storture del piano di riforma approvato un mese fa dal Consiglio dei Ministri.
La prima serie di modifica che occorre adottare riguarda il piano di assunzioni: se rimarrà così come licenziato dal Governo, infatti, saranno tantissimi, decine di migliaia, i docenti abilitati, da anni impegnati con continuità nell’insegnamento su posti vacanti, ad essere prima non assunti e presto anche espulsi dalla scuola. Perché l’articolo 12 del ddl parla chiaro: non potranno più andare dietro la cattedra i docenti precari che hanno lavorato più di 36 mesi.
Dando un’interpretazione davvero originale alla sentenza di fine novembre della Corte di Giustizia europea. La quale, invece, indicava ben altra strada: stabilizzare immediatamente tutti i precari che hanno svolto i tre anni di servizio, anche non continuativi, su posto vacante; fare altrettanto, in futuro, con coloro che vanteranno lo stesso diritto.
“Ancora una volta – commenta a caldo Marcello Pacifico, presidente Anief e candidato al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione – si fa scontare al personale precario la mancata organizzazione da parte dell’amministrazione scolastica e del Governo. Sarebbe infatti bastato realizzare un censimento dei posti effettivamente vacanti per accorgersi che circa l’80 per cento di quelli oggi conferiti al 30 giugno sono in realtà a tutti gli effetti liberi: quindi utili per le immissioni in ruolo. E, allo stesso, tempo ci sono una miriade di altri problemi che il ddl non solo non risolve, ma acuisce”.
Rimane infatti in piedi il problema dei supplenti chiamati dalle graduatorie d’istituto, che sono abilitati come quelli inseriti nelle graduatorie ad esaurimento: né più né meno, in alcuni casi come per Scienze della Formazione Primaria, hanno conseguito l’abilitazione con lo stesso percorso didattico e le stesse selezioni in entrata e in uscita. Per non parlare di TFA, PAS, Diploma magistrale e altri abilitati, cancellati o mai inseriti. Come rimangono fuori dalle assunzioni tutti gli idonei dell’ultimo concorso Stesso copione per i docenti abilitati con i concorsi precedenti al 2012 non rinnovati e che aspirano ancora all’assunzione. Dai calcoli dell’Anief sono almeno in 70mila a rientrare in una di queste categorie.
Ma poi ci sono anche altri 44mila docenti che rimarranno a casa, senza essere assunti e con lo spauracchio di perdere la facoltà di fare supplenze, pur essendo inseriti nelle GaE. Come non c’è traccia della stabilizzazione di 10mila Ata, malgrado la comprovata presenza di altrettanti posti liberi derivanti da vacanze attuali e prossimi pensionamenti.
Nella Buona Scuola progettata dal Governo, inoltre, mancano regole eque per la mobilità dei tutti i neo-assunti: non solo si costringono a rimanere per almeno tre anni lontani da casa, ma anche a lavorare senza titolarità e su classi di concorso per cui non hanno l’abilitazione all’insegnamento. Allo stesso modo non si comprende l’allestimento di un organico funzionale che fa coprire le supplenze fino a 10 giorni a docenti presi a caso tra quelli a disposizione degli istituti. E che dire dalla mancanza di garanzie per l’assegnazione degli scatti di anzianità, bloccati per legge sino al 2018?
L’apice dell’irragionevolezza del disegno di legge, però, si raggiunge con la scelta di dare ai dirigenti scolastici la possibilità di attuare la chiamata diretta del personale precario, eludendo le graduatorie formulate in base a servizi e merito. Già la Regione Lombardia, con l’art. 8 della legge n. 2/2012, provò lo stesso colpo di mano. Salvo trovarsi davanti la sentenza, circa un anno e mezzo dopo, della Corte Costituzionale, la quale dichiarò illegittima quella norma locale che consentiva alle scuole di organizzare concorsi e reclutare insegnanti.
La sentenza, la n. 76/2013, relatore l’allora giudice Sergio Mattarella (oggi Capo dello Stato), depositata il 24 aprile 2013, accolse il ricorso presentato il 19 giugno 2012 dalla Presidenza del Consiglio. Per la Corte Costituzionale la chiamata diretta del personale insegnante è infatti “del tutto eccentrica rispetto all’ordinamento nel suo complesso”, visto che “ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117” della Costituzione.
“Non si comprende – commenta ancora il presidente Anief – come mai oggi il Governo possa aver riformulato quel tentativo maldestro. Dal momento che il dirigente scolastico non è legittimato ad assumere nella scuola chi vuole lui. Se il Parlamento ha intenzione di mantenere in vista le disposizioni normative previste dal CdM, noi non ci stiamo: Anief annuncia sin d’ora che sta predisponendo una serie di ricorsi ad hoc, per contrastare sia la deriva di nepotismo sia tutte le altre novità illegittime previste dal disegno di legge”.