22, stipendi personale stataleMartedì la Corte Co­stituzionale dirà se è da considerarsi incostituzionale il blocco del rinnovo della parte economica dei contratti nel pubblico impiego imposta dal 2010 dal Governo Berlusconi e poi mantenuta intatta sino ad oggi. La posta in gioco è alta e per il Governo sarebbe un duro colpo dopo la vicenda delle pensioni “congelate” a fine 2011 dal governo Monti.

 

Nei giorni scorsi l’Avvocatura dello Stato ha fatto i conti di quanto costerebbe una bocciatura della norma con effetti retroattivi: ben 35 miliardi di euro a cui abbinare un effetto strutturale di 13 miliardi l’anno dal 2016. Cifre insostenibili per i fragili bilanci del Tesoro che rischierebbero di sforare i patti di stabilità europei in modo ben piu’ grave di quanto causato dalla sentenza sulle pensioni.

 

L’ipotesi prevalente è che la Consulta dichiari inammissi­bili i ricorsi ma inviti il Parla­mento a rimuovere il blocco dei contratti perché la misura è costituzionalmente legittima solo se ha carattere temporaneo. Non può essere prolungata in modo quasi automatico.

 

Una senten­za di questo tipo consentireb­be al Tesoro di tirare un sospiro di sollievo ma obbligherebbe il governo a riaprire la partita dei contratti, che poi è l’obiettivo vero di Cgil, Cisl e Uil con la prossima legge di stabilità.

 

La Consulta, infatti, è chiamata anche a valutare i «rile­vanti effetti finanziari» che un’abrogazione tout court della norma produrrebbe, alla luce del nuovo ar­ticolo 81 della Costituzione, che prevede l’equilibrio di bi­lancio. Anche in questa ipotesi, la piu’ favorevole, il Governo dovrebbe recuperare circa 8 miliardi a regime per gli au­menti, cifre ancora non stanziate nel Def.