Gli standard rappresentano un passo in avanti per qualsiasi settore, compreso quello dei documenti da ufficio, ma solo se rispettano alcune regole. In particolare, gli standard per i documenti da ufficio devono garantire un’interoperabilità trasparente a tutti gli utenti, indipendentemente dal software che utilizzano.

Gli standard rappresentano un passo in avanti per qualsiasi settore, compreso quello dei documenti da ufficio (contrariamente a quello che pensano tutti quelli che continuano a usare i formati pseudo-standard o addirittura completamente non standard di Microsoft Office).

Purtroppo, il vantaggio degli standard è molto più facile da rilevare in ambito hardware che in ambito software, perché da un lato si “toccano con mano” mentre dall’altro dipendono sempre dalla comprensione di un problema culturale di cui si parla sempre (troppo) poco: l’interoperabilità.

L’ultimo esempio dell’utilità degli standard è quello degli alimentatori Micro USB per i telefoni cellulari, che oggi permettono a molti di “dimenticare” il problema – ovvero l’alimentatore – a casa, potendo fare affidamento su quello di un collega o un amico (perché rispettano entrambi lo standard).

Nel caso dei documenti, il concetto di standard viene quasi sempre sostituito da quello di “più usato” o “più diffuso” (che il marketing chiama standard “de facto”, e mai definizione fu più sbagliata e fuorviante). Purtroppo, perché un formato sia standard è indispensabile che esso sia “pensato” come standard e sia “rispettato” come standard, e il fatto che sia più diffuso rispetto al altri formati è del tutto ininfluente.

Oggi, ci troviamo in una situazione ai limiti dell’assurdo, perché il formato più usato e più diffuso non è e non potrà mai diventare uno standard (a meno che non vengano riscritte porzioni significative di Microsoft Office, e venga modificato il comportamento della suite in lettura e scrittura dei documenti), mentre l’unico formato standard – ODF, od Open Document Format – non solo è meno diffuso e meno usato, ma viene considerato – a torto – un formato inferiore.

Spiegare tutto questo in un unico articolo è praticamente impossibile, per cui comincerò con il chiarire il concetto di standard per i documenti, e poi passerò alla disamina dei due formati, e spiegherò perché uno non è standard – nonostante ISO lo abbia approvato come tale, con una decisione a mio modo di vedere sbagliata nella forma e nella sostanza – e perché l’altro è uno standard (imperfetto, ma standard).

Gli standard per i documenti sono relativamente recenti, anche se hanno un precedente illustre nel formato PDF, concepito intorno al 1990 da John Warnock, fondatore e anima tecnologica di Adobe. Nel 1992, il PDF è stato il primo formato dei documenti scritto in modo da poter diventare uno standard – come infatti è avvenuto – e quindi aperto e basato su componenti aperti, e soprattutto descritto in modo tale da poter essere riprodotto anche da altri software.

Oggi, l’esistenza di centinaia di software che scrivono e leggono documenti PDF è la dimostrazione migliore del successo della visione di John Warnock (che è anche colui che ha sviluppato il PostScript).

La cosa più importante è che qualsiasi utente può inviare un file PDF a qualsiasi altro utente senza chiedergli se ha uno specifico software, con la certezza che il documento verrà comunque letto e stampato senza problemi.

Passando agli standard per i documenti da ufficio, ovvero per i documenti editabili, la complessità cresce, perché proveniamo da una situazione in cui tutti scambiano documenti in un formato proprietario, per cui l’interoperabilità è frutto dell’uso dello stesso software e non dello stesso formato standard. Quindi, è una falsa interoperabilità, anche perché le strategie commerciali spingono Microsoft a creare formati di volta in volta incompatibili con quelli delle versioni precedenti, per favorire gli aggiornamenti.

Per essere standard, il formato dei documenti da ufficio deve rispettare una serie di condizioni:

  1. L’approvazione deve aver seguito un processo di valutazione ampio, pubblico e trasparente, e l’utilizzo deve essere completamente libero e privo di qualsiasi tipo di vincolo, indipendentemente dal contesto e dall’utilizzatore;
  2. Il contenuto deve essere libero da componenti o estensioni che non rispondono, essi stessi, alla definizione di standard aperto (ovvero, di componenti o estensioni proprietari);
  3. Le specifiche devono essere prive di qualsiasi vincolo legale o tecnico in grado di limitare l’utilizzo all’interno di qualsiasi contesto o da parte di qualsiasi utente (quindi, la presenza – per esempio – di font proprietarie non è ammessa);
  4. Le specifiche devono essere gestite e sviluppate in modo indipendente da un unico fornitore, con un processo aperto alla partecipazione sia dei concorrenti sia delle terze parti (per cui un ente i cui membri intrattengono rapporti commerciali tra loro non è assolutamente adeguato);
  5. Il formato deve avere una o più implementazioni native di riferimento complete e liberamente disponibili per tutti gli utenti (senza l’acquisto di una licenza d’uso).

Inoltre, un formato standard deve essere agnostico nei confronti dell’utente, che deve avere la certezza di usare il formato standard indipendentemente dal proprio comportamento, e deve essere coerente con la formulazione dello standard, per cui non può variare al variare della versione del software.

Come vedremo nei prossimi articoli, esiste un solo standard che rispetta queste regole (alcune delle quali, come l’ultima, sono dettate dal buon senso, e facili da comprendere per tutti, compresi quelli che non si occupano di standard).

 

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Italo Vignoli

 

 

ufficio