L’emendamento contenuto nella Delega sulla Pa ha superato senza modifiche l’esame della Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio.
La staffetta generazionale sbarca all’esame dell’Aula della Camera. La Commissione Affari Costituzionali ha lasciato immutata la misura contenuta all’articolo 13 del disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione e già approvata in Senato in prima lettura che consentirà, su base volontaria, ai dipendenti pubblici prossimi all’età pensionabile di chiedere il part-time con riduzione della base oraria di lavoro e della relativa retribuzione per far posto ai giovani. Respinti in Commissione tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni che chiedevano di rendere più appetibile la misura.
Già perchè, per come è formulato ora l’emendamento, scegliere questa strada, che non sarà revocabile una volta intrapresa, avrà un costo non indifferente. Chi opterà per il part-time, oltre ad una riduzione di stipendio, dovrà infatti mettere mano al portafogli per versare la differenza dei contributi tra il part time ed il tempo pieno. L’emendamento infatti recita che il versamento del differenziale della contribuzione tra il tempo parziale e quello pieno sia garantito “attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, con la possibilità di conseguire l’invarianza della contribuzione previdenziale”.
In altri termini il dipendente pubblico che opterà per la staffetta generazionale sarà costretto ad integrarsi i contributi mancanti tramite il riscatto o la prosecuzione volontaria al pari di quanto accade nel settore privato. Un esborso che, a ben vedere, rischia di non far decollare la misura: un lavoratore che guadagna 1800 euro netti al mese, oltre al dimezzamento dello stipendio, sarebbe chiamato a versare circa 250 euro al mese all’Inps. Le opposizioni chiedevano che questo differenziali fosse posto a carico dello stato ma, per ora, le richieste di modifica non sono passate. Si vedrà in Aula.
L’emendamento prevede “la facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dell’orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, la possibilità di conseguire l’invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel contempo, nei limiti delle risorse effettivamente accertate a seguito della conseguente minore spesa per redditi, l’assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa vigente in materia di vincoli assunzionali. Il ricambio generazionale di cui alla presente lettera, non deve comunque determinare nuovi o maggiori oneri a carico degli enti previdenziali e delle amministrazioni pubbliche”.
Non passano neanche gli emendamenti della minoranza Dem (Gnecchi e Damiano in primis) che chiedevano di allineare i limiti ordinamentali per la permanenza in servizio – 65 anni – all’età prevista per la pensione di vecchiaia. Un risultato che avrebbe consentito ai dipendenti in possesso dei requisiti contributivi per la pensione anticipata di restare in servizio sino all’età di vecchiaia al fine di maturare una pensione piu’ succulenta.