Continua la tenelovela sulla Stabilizzazione dei Precari: le procedure senza Concorso sono state autorizzate dall’ARS, Assemblea Regionale Siciliana.
Stabilizzazione Precari, procedure senza concorso: via libera dell’ARS. L’Assemblea Regionale Siciliana scrive un nuovo capitolo della telenovela delle stabilizzazioni. Cercando di superare il vincolo, costituzionalmente garantito, dell’accesso dall’esterno per almeno il 50% dei candidati, va oltre e dichiara che ciò può avvenire prescindendo da procedure selettive.
L’emendamento approvato in aula recita testualmente
Le disposizioni di cui all’articolo 3 della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8, sono da intendersi quali procedure di reclutamento straordinario volte al superamento del precariato storico, che prescindono dalle procedure rivolte all’esterno e sono interamente riservate ai soggetti richiamati nel medesimo articolo 26; il reclutamento con le procedure di cui alle leggi regionali n. 85/1995 e n. 16/2006, n. 21/2003 e n. 27/2007 è requisito utile ai fini dell’applicazione dell’articolo 20, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 75/2017.
Un emendamento che potrebbe non chiudere, purtroppo, la querelle. Le questioni aperte restano parecchie. Innanzitutto quella della competenza della Regione Siciliana a decidere in merito ai percorsi di reclutamento del personale.
Applicabilità immediata in Sicilia
E’ stato lo stesso Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica a chiarire che il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, risulta immediatamente applicabile in Sicilia sia per le norme di ordinamento civile in esso contenute, sia perché la Corte Costituzionale ha più volte affermato che “le norme statali in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica” (sentenze n. 18 del 2013 e n. 310 del 2011; sentenza n. 277 del 2013)”.
Della questione, però, si potrà occupare la Corte Costituzionale qualora il Consiglio dei Ministri (o altri) decida di impugnare la norma.
L’emendamento sancisce, in maniera chiara, che si tratta di procedure di reclutamento straordinario volto al superamento del precariato storico, che prescindono da quelle rivolte all’esterno.
I comuni, quindi, possono bandire avvisi totalmente riservati ai “contrattisti”, con onere finanziario a carico della Regione. La Corte dei Conti, forse, aveva sollevato un problema diverso: accanto ad un concorso riservato interamente ai “contrattisti”, i comuni dovrebbero programmare assunzioni – con pari risorse – aperte all’esterno.
Pragmaticamente i comuni procederanno, intanto, a stabilizzare il proprio personale precario, rimandando ad un momento successivo le eventuali assunzioni dall’esterno, con proprie risorse, nei limiti previsti dalla legge.
L’emendamento, poi, interpretando la legge Madia, stabilisce che le procedure seguite per l’assunzione del personale precario costituiscono requisito utile all’applicazione del primo comma, lett. b) dell’art. 20 del D.Lgs. n. 75/2017.
Secondo la Regione, quindi, il personale contrattista è stato reclutato con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione.
Come superare il precariato?
Le amministrazioni, quindi, al fine di superare il precariato, potranno fino al 2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato i “contrattisti”.
Resta il dubbio se spettasse alla Regione, con provvedimento legislativo, qualificare come procedure concorsuali quelle seguite per il reclutamento dei “contrattisti”.
Inoltre, l’Ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione Siciliana (prot. n. 30164/2017 del 28 dicembre 2018) aveva negato la possibilità di stabilizzazioni dirette, senza prove selettive di tipo concorsuale, anche nell’ipotesi in cui il numero di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato da stabilizzare corrispondesse a quello dei soggetti titolari dei requisiti prescritti dalla legge.
Nel parere si escludeva che la selezione tramite graduatoria di cui alla L.r. n. 85/1995 e L.r. n. 21/2003 potesse essere assimilata a prova concorsuale.
Secondo l’Ufficio Legislativo, infatti, l’espletamento di un concorso è presupposto fondamentale per l’assunzione a tempo determinato, così come sancito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 256/2012) e dalla Corte dei Conti (sentenza n. 200/2017).
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La procedura concorsuale
La procedura selettiva di tipo concorsuale rimane la regola per l’accesso al pubblico impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme in materia di stabilizzazione.
Il Tar di Catania (sentenze n. 1342/2018 e n. 1630/2018), in riferimento a personale a tempo determinato delle Aziende sanitarie, ha escluso che l’attingere alle graduatorie di cui alla L.r. n. 85/1995 e L.r. n. 21/2003 possa essere assimilato all’espletamento di prove selettive concorsuali.
Un inciso della circolare 3/2017 del Ministero per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha ritenuto soddisfatto il requisito di cui alla lett. b), del primo comma dell’art. 20 del D.Lgs. n. 75/2017, allorché il personale precario sia stato assunto a tempo determinato attingendo ad una graduatoria a tempo determinato o indeterminato riferita ad una procedura concorsuale – ordinaria, per esami e o titoli, ovvero anche prevista in una normativa di legge.
Per il Tar di Catania, però, questo non implica la possibilità per i precari assunti a tempo determinato con modalità alternative al pubblico concorso di accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale, ai benefici della stabilizzazione, ogniqualvolta per quelle specifiche mansioni sia possibile un’assunzione nei ruoli del pubblico impiego.
L’assimilazione di una graduatoria formata all’esito di un concorso pubblico con un’altra, invece, di natura diversa, come, ad esempio, quella delle liste di collocamento – scrive il Tar – appare contraddittoria in ragione della profonda diversità caratterizzante i due atti in questione, il primo, infatti, tendendo alla selezione dei migliori candidati partecipanti alla procedura selettiva indetta per la copertura dei posti banditi a concorso, il secondo, invece, rispondendo ad altre logiche principalmente volte a favorire soltanto l’occupazione.
Né, peraltro, può rivalutarsi all’uopo il dettato dell’art.16 comma1 L. n.51/1987 nella parte in cui prevede che Le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici a carattere nazionale, e quelli che svolgono attività in una o più regioni, le province, i comuni e le unità sanitarie locali effettuano le assunzioni dei lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità, che abbiano la professionalità eventualmente richiesta e i requisiti previsti per l’accesso al pubblico impiego, poiché mentre la suddetta selezione si traduceva nell’esplicazione di prove attitudinali volte esclusivamente ad accertare l’idoneità dell’interessato all’espletamento delle mansioni da affidargli, la procedura concorsuale è preordinata ad assicurare la più elevata professionalità possibile per la copertura dei posti a concorso, essendo, infatti, le prove selettive concepite in modo tale da consentire alla Pubblica Amministrazione la scelta dei migliori candidati partecipanti.
La Corte Costituzionale
In tal senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, sancendo che il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica”, presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché esso non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere (sentenza n. 225 del 2010, che richiama le sentenze n. 293 del 2009 e n. 100 del 2010), cosicché la garanzia del concorso pubblico non può che riguardare anche l’ipotesi di mera trasformazione di un rapporto contrattuale a tempo indeterminato in rapporto di ruolo, allorché […] l’accesso al suddetto rapporto non di ruolo non sia a sua volta avvenuto mediante una procedura concorsuale (sentenze n. 215 del 2009 e n. 203 del 2004).
Secondo i magistrati amministrativi, appare, dunque, desumibile dal requisito di cui alla lett. b) dell’art.20 comma 1 D.Lgs. 75/2017 la volontà del legislatore di privilegiare la stabilizzazione soltanto di quei precari che, in quanto già scelti all’esito di un precedente pubblico concorso, garantiscono un’elevata professionalità all’Amministrazione presso la quale prestano servizio.
Se, infatti, l’intento fosse stato quello di favorire anche i precari assunti sulla base delle liste di collocamento di cui all’art.16 co.1 L. n.51/1987 o di procedure similari – chiosa il Tar – la norma in esame non avrebbe previsto il requisito di cui alla lett.b).
Superati i dubbi sull’assunzione diretta
Adesso l’emendamento approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana supera tutti i dubbi sull’assunzione diretta, sostanzialmente “a chiamata”, da attuare in forza del comma primo dell’art. 20 del D.Lgs. n. 75/2017.
Una previsione che rende semplice la vita ai Comuni che decidono di stabilizzare tutto il proprio personale “contrattista”, mentre non risolve il problema di quegli enti che decidono di trasformare a tempo indeterminato solo una percentuale del proprio personale precario.
La volontà politica è evidentemente quella di chiudere, una volta per tutte, la decennale storia del precariato in Sicilia.
Si sta procedendo per tentativi, nella speranza che non ci siano ulteriori interventi che blocchino o rallentino le stabilizzazioni.
La maggior parte degli enti, dopo l’approvazione definitiva della legge, procederà alla trasformazione del rapporto di lavoro, senza procedure selettive, con la copertura di una legge regionale, con molte debolezze, ma che sarà vigente.
Il nuovo intervento legislativo al quale si è stati costretti dal parere della Corte dei Conti, in qualche modo, fornisce ai comuni uno strumento per addivenire alle stabilizzazioni in tempi rapidi, sollevandoli da responsabilità amministrativo-contabili.
D’altro canto, da un punto di giustizia sostanziale, non poteva essere una procedura selettiva a sancire che un dipendente fosse inidoneo a svolgere un’attività della quale l’ente si è, comunque, servito per trent’anni.