Stabilizzazione Precari: un argomento molto importante e molto sentito dai lavoratori dipendenti, soprattutto per quanto riguarda il Pubblico Impiego. Ma anche un argomento complicato. In questo articolo tireremo le somme per fare orientare meglio i lettori e chi vuole scoprirne di più.
Stabilizzazione Precari. Questo nodo cruciale rappresenta una criticità e una ferita ancora aperta per molti lavoratori, che da anni attendono il momento per la scalata al “tempo indeterminato”. Il problema, nello specifico, rappresenta una vera e propria piaga per il nostro Settore Pubblico.
Negli anni il legislatore ha tentato di intervenire sulla materia, cercando di tamponare le situazioni più problematiche e di creare un vero e proprio standard “virtuoso” per le Pubbliche Amministrazioni.
Qui di seguito tracceremo una direttrice che possa toccare tutti i punti nevralgici di questo discorso: la normativa e tutte le fasi della stabilizzazione precari suddivise per settore. Dagli Enti Locali alla Scuola, dalle Forze Armate alla Sanità e via discorrendo.
La normativa di base per la stabilizzazione del personale precario
Il punto principale riguarda, in primo luogo, se il personale reiteratamente assunto con contratti a termine sia nelle condizioni di poter esercitare un vero e proprio diritto soggettivo al reclutamento a tempo indeterminato.
Una volta stabilito che questo personale ha diritto alla conversione del contratto si passa a guardare le relative norme.
Le leggi sulla contrattazione
In origine, nel 1997 con le riforme del ministro Tiziano Treu (all’epoca Ministro del Lavoro del Governo Prodi I) e le successive riforme Bassanini (l’allora Ministro della Funzione Pubblica) che per vie diverse, ed in molti casi, per attuare disposizioni di natura comunitaria, modificarono profondamente l’intero settore: si pensi alla liberalizzazione dell’assunzione con la cessazione dell’obbligo di chiamata presso il cosiddetto Ufficio di collocamento, l’abolizione del libretto del lavoro, l’introduzione del lavoro interinale con la legge 24 giugno 1997, n. 196.
Il testo unico del 2001 ha poi provveduto a riformare la contrattazione collettiva. In particolare il titolo III “contrattazione collettiva e rappresentatività” regolamenta specificatamente la contrattazione collettiva, i contenuti ed i controlli della normativa pattizia, nonché i diritti e le prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.
Per chiudere con il d.lgs n. 150/2009 (Riforma Brunetta) che ha apportato novità piuttosto radicali, tra cui l’introduzione delle valutazioni dell’attività delle PP.AA e del personale impiegato presso le stesse – mediante l’introduzione di un meccanismo denominato ciclo di valutazione della performance – con rilevanza di tale valutazioni sulla carriera
La stabilizzazione precari in senso stretto ha, tuttavia, una legge specifica di riferimento abbastanza “giovane”. La normativa di riferimento per il pubblico impiego è infatti quella delineata dalla Riforma Madia (d.Lgs. 25 maggio 2017 n. 75).
Senza considerare altre Sentenze pattuite in altre sedi che, qui di seguito, verranno sinteticamente analizzate.
La Riforma Madia
Il decreto di riforma del lavoro pubblico, ha sbloccato nel 2017 anche il rinnovo del contratto degli statali, fermo da otto anni.
La legge 7 agosto 2015 n. 124 ha delegato il governo alla riforma della PA. Tra i vari ambiti toccati dalla delega (carta per la cittadinanza digitale, riduzione delle camere di commercio, ridefinizione della conferenza dei servizi e del silenzio assenso, dirigenza pubblica entro un ruolo unico), vi è anche la definizione appunto di una nuova disciplina del pubblico impiego. Con ulteriori elementi di armonizzazione con il regime giuridico privatistico.
In particolare, le amministrazioni definiscono obiettivi di contenimento delle assunzioni differenziati in base agli effettivi fabbisogni, fare ricorso a forme di lavoro flessibile accompagnata, operare una valutazione dei dipendenti pubblici con il riconoscimento del merito e di premialità.
L’art.20 del Decreto Madia
Nello specifico, l’art. 20, co. 1, del decreto legislativo, rubricato “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”, consente alla pubbliche amministrazioni di assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
- risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge delega n. 124 del 2015 – ovvero al 28.08.2015 – con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
- sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
- al 31 dicembre 2017 abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
Inoltre a suffragare questo disegno vi è la circolare 3/2017 del Dipartimento della Funzione pubblica illustra come applicare il Decreto legislativo 75/2017, uno dei decreti attuativi della riforma Madia.
Le bocciature di Consiglio di Stato e Cassazione
Il percorso attuativo della legge delega ha incontrato una parziale bocciatura del Consiglio di Stato in materia di riforma della dirigenza.
La stessa legge delega è incorsa in una pronuncia di incostituzionalità da parte della Suprema Corte di Cassazione, che con la sentenza 25 novembre 2016, n. 215, ha accertato la violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, di diverse disposizioni della stessa legge n. 124/2015 nella parte in cui per l’adozione dei decreti attuativi ritiene sufficiente l’acquisizione del mero parere della “Conferenza Unificata” in luogo dell’intesa in materie nelle quali non è possibile individuare competenze prevalenti.
Ha fatto salvi, però, i decreti attuativi emanati ai sensi della legge delega adottati, dovendosi accertare caso per caso l’effettiva lesione delle competenze regionali.
Il parere della Corte dei Conti sulla stabilizzazione precari
Infine, la Corte dei conti, con la sentenza 153/2018, ha dettato regole più chiare.
Infatti ha stabilito che l’Ente Pubblico non deve incorrere nell’errore di assimilare
“il personale a tempo determinato (assunto con procedure diverse da selezioni pubbliche) sottoposto alla sola selezione interna e i collaboratori, cui la legge ha invece previsto il concorso pubblico esterno con la citata quota di riserva.”
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Le risorse per la stabilizzazione precari
Le risorse finanziarie
Lo strumento più importante per dare corso in modo ampio alle stabilizzazioni dei precari è costituito dalle risorse aggiuntive che gli enti possono utilizzare rispetto alle ordinarie capacità assunzionali. Cioè quelle spese per il finanziamento delle assunzioni flessibili di cui “all’articolo 9, comma 28, del d.l. 78 / 2010, calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio nel triennio 2015-2017”.
Occorre l’attestazione dei revisori dei conti, si deve dimostrare di “essere in grado di sostenere a regime la relativa spesa di personale”, dare corso al taglio in misura corrispondente delle risorse per le assunzioni flessibili. Assai importante è anche la seguente indicazione: queste risorse “dovranno coprire anche il trattamento economico accessorio e conseguentemente, solo ove necessario, andranno ad integrare i relativi fondi oltre il limite previsto dall’articolo 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017”, cioè il tetto del fondo del 2016.
Le procedure
Occorre che le procedure per le stabilizzazioni siano coerenti con le indicazioni del piano del fabbisogno del personale. Esse possono intervenire “tenendo conto .. delle figure professionali già presenti nella pianta organica”. E avendo dato corso ad “una ricognizione del personale potenzialmente interessato e delle esigenze di professionalità da reclutare attraverso tali procedure”. Così da pervenire all’esito per cui vi sia un coordinamento tra queste procedure e la programmazione del fabbisogno.
La situazione della stabilizzazione Precari nei vari comparti
Chiusa la disamina normativa, adesso passiamo ad analizzare la situazione della stabilizzazione precari nei vari comparti del Pubblico Impiego.
Enti Locali
Gli Enti Locali sono un fulgido esempio di come la questione del precariato sia scottante tra i dipendenti statali.
Spesso tra le cause del precariato (e questo non solo negli EE LL) vi sono soprattutto l’abuso della flessibilità. Attuato in primo luogo con la reiterazione del contratto a termine ma non solo e l’abuso di contratto di co.co.co. Quest’ultimo adesso è praticamente fuori legge.
Una criticità che comunque rimane aperta. Per la possibilità per gli enti locali di procedere all’assunzione a tempo indeterminato, a domanda, del personale non dirigenziale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato. Questo qualora detto personale sia stato assunto a seguito dell’espletamento dei concorsi previsti dalla legge n. 296/2006.
Il cui art. 1, comma 560, prevedeva a possibilità di concorsi per l’assunzione a tempo determinato riservando ai co.co.co. un contingente non inferiore al 60% dei posti.
Abuso dei contratti negli EE LL
Per questo il precariato negli EE LL rimane ancora ampio. E a scatenare l’abuso di contratti a termine spesso ci sono due varianti:
- Esigenze reali delle P.A. (blocco del turnover e reali esigenze assunzionali e di flessibilità);
- Pratiche collusive soprattutto a livello locale più volte rilevate dalla corte dei conti. Nello specifico un evidente rapporto di contiguità tra gli amministratori e gli stabilizzati tale da alimentare in termini di colpa grave il comportamento dei primi.
Problemi che ancora rimangono aperti (specie nella Regione Sicilia) e di cui abbiamo parlato ampiamente in questi articoli:
Stabilizzazione Precari, procedure senza concorso: via libera dell’ARS
Stabilizzazione Precari Comuni Siciliani, i paletti della Corte dei Conti
Stabilizzazione Precari, assunzioni senza prove selettive frenate dai Giudici Amministrativi
Scuola
Il precariato della Scuola rimane uno dei grandi problemi insoluti allo stato attuale.
Sono migliaia i precari della scuola italiana che, dopo l’abolizione del concorso riservato al personale con almeno tre anni di servizio, non hanno tutele. Questo nonostante le disposizioni europee, tra le quali la Direttiva N.1999/70 CE, stabiliscano dei criteri certi per tutelare e garantire la stabilizzazione del rapporto di lavoro.
Come ha denunciato il sindacato ANIEF di recente, il precariato della scuola italiana è ampio.
Ci sono gli idonei e i vincitori dei concorsi ordinari e straordinari riservati che ancora aspettano una cattedra.
Due docenti abilitati su tre non hanno partecipato ad alcuna procedura perché ritengono di dover esser assunti dove da anni insegnano. E i precari con 36 mesi non abilitati vengono beffati da un nuovo FIT / PAS a pagamento, in supplenza. Che stabilizzerà non certo tutti i 50 mila, ma neanche i 25 mila annunciati l’anno prossimo, visto le vigenti graduatorie di merito concorsuali.
L’obiettivo dei sindacati di settore è attuialmente quello di creare i presupposti affinché alle categorie considerate venga riconosciuto il diritto all’immissione in ruolo. Solo in questo modo si potrebbe finalmente raggiungere la stabilizzazione di 140 mila precari e porre definitivamente fine al precariato nella scuola.
Sanità
Per il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico del Servizio sanitario nazionale, dirigenziale e non, la circolare 3/2017 della Funzione Pubblica prevede che
“in quanto personale direttamente adibito allo svolgimento delle attività che rispondono all’esigenza, prescritta dalla norma, di assicurare la continuità nell’erogazione dei servizi sanitari, è consentito il ricorso anche alle procedure di cui all’articolo 20 e, per il personale tecnico-professionale e infermieristico, il requisito del periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni, previsto dall’articolo 20, commi 1 lettera c) e 2, lettera b), può essere conseguito anche presso diverse amministrazioni del Servizio sanitario nazionale”.
Sono numerose le aziende sanitarie che già dall’inizio del 2018 hanno dato inizio alle procedure per la stabilizzazione. In linea generale, le aziende sanitarie si sono innanzitutto trovate a fare una ricognizione di tutto il personale a tempo determinato che era in possesso dei requisiti.
Se in alcune aziende sanitarie la procedura di stabilizzazione si è già conclusa, altre aziende sono ancora in corso di definizione delle graduatorie. Però il settore sanitario a quanto pare è messo meglio rispetto a Scuola ed EE LL.
Forze Armate
Per chiudere parliamo del Settore delle Forze Armate. Non ci dilunghiamo su altri settori (che magari abbiamo analizzato o analizzeremo in altre sedi). E non parliamo del settore privato, che segue regole autonome e differenti rispetto al pubblico.
Per i precari delle Forze Armate sussistono ancora molte criticità.
La legge in realtà tutela in modo particolare questo settore. Infatti è:
riconosciuta la specialità del ruolo delle Forze armate, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti e, in particolare, del sacro dovere di difesa della Patria, degli obblighi e delle limitazioni personali previsti dalle leggi e dai regolamenti vigenti, quale, in particolare, la privazione del diritto di astensione volontaria dal lavoro, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e per i correlati impieghi in attività usuranti.
Il precariato tuttavia anche qui permane.
L’appello per i precari delle Forze Armate
Di recente spicca un appello di Tommaso Foti, politico esponente di Fratelli d’Italia. Il quale denuncia che non risulta alcuno stanziamento volto a favorire la stabilizzazione del personale precario delle Forze armate, che vive in condizioni di precariato lavorativo ed economico.
Il decreto-legge 12 luglio 2018 sembra essere intervenuto in modo radicale sulle regole del lavoro precario del settore privato, fortemente penalizzato dal cosiddetto Jobs Act, riforma varata dal Governo Renzi;
L’articolo 3 deldecreto-legge prevede l’inapplicabilità della riforma contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle pubbliche amministrazioni. Con evidente disparità di trattamento e ricadute, tra l’altro, anche nei confronti del personale precario del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico.
Secondo il deputato, l’estensione al personale precario in questione delle citate disposizioni di cui al decreto-legge n. 87 del 2018, relative alla trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato al ricorrere di determinate condizioni, consentirebbe di dare dignità professionale e la giusta valorizzazione agli operatori del settore che ogni giorno lavorano per difendere lo Stato e la comunità, mettendo a rischio la propria incolumità.
Conclusioni
Una situazione quindi ancora composita dunque. Per tutti i comparti del Pubblico Impiego.
Il precariato ancora oggi è una piaga, ancora lungi dall’essere debellata.
Ci sono in vista nuove leggi che possono cambiare le cose? Allo stato attuale ancora no.
Il prossimo contratto del Pubblico Impiego cambierà qualcosa? Lo vedremo.
Noi vi terremo aggiornati comunque su tutte le eventuali novità.
Fonte: articolo di Simone Bellitto