Il rapporto tra Aspi e Naspi resta molto ingarbugliato. Com’è noto i lavoratori che perdono involontariamente l’occupazione a decorrere dal 1° maggio 2015 sono soggetti al nuovo ammortizzatore sociale introdotto con il decreto legislativo 22/2015. Per ottenere l’assegno è necessario avere almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’evento di disoccupazione e almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi antecedenti la disoccupazione. Mentre non è più richiesta la presenza di due anni di assicurazione, una circostanza che aveva escluso di fatto molti lavoratori dal sostegno e reso necessari strumenti ad hoc.
Una delle principali difficoltà per gli interpreti resta comunque quella di determinare la durata del sostegno. A dire il vero il calcolo della durata sarebbe molto semplice: basta prendere le settimane di contribuzione effettiva da lavoro versata nei quattro anni antecedenti l’evento di disoccupazione e dividerla per due. E quindi la durata massima teorica dell’assegno arriva sino a due anni.
Ma se nel quadriennio di riferimento il lavoratore ha percepito una o più indennità di disoccupazione (Aspi/Dso) la situazione si complica e non di poco perchè tutti i periodi che hanno dato luogo a tali prestazioni devono essere scomputati, cioè sottratti, a quelli validi per il calcolo della durata della Naspi. Un’ipotesi, in realtà, molto frequente data la precarietà dei rapporti di lavoro attuali. In questi casi bisogna scomputare il minor valore tra il numero di settimane di prestazione (DSO/ASPI) effettivamente fruite con il numero di settimane di contribuzione presenti in un numero di mesi pari alla durata teorica della prestazione, precedenti l’evento di DSO/ASpI.
Ad esempio se un lavoratore ha fruito tra il 1° gennaio 2014 ed il 1° gennaio 2015 un assegno Aspi (52 settimane) il numero di settimane di contribuzione utili per la Naspi dell’ultimo quadriennio (156 considerando l’interruzione di un anno del rapporto di lavoro) si ridurranno a 104 con la conseguenza che l’assegno Naspi avrà una durata pari a solo un anno (104/2). Questo però a condizione che nell’anno antecedente la prestazione Aspi siano state versate 52 settimane di contributi (contribuzione piena). Se in questo lasso di tempo vi fosse un numero di settimane inferiore, ad esempio 40, si prevede lo scomputo solo del minor numero di settimane di lavoro ricadenti in tale periodo.
Oltre a questo l’Inps, tuttavia, ha previsto un meccanismo di salvaguardia per la durata della nuova indennità contro la disoccupazione, qualora, il biennio di osservazione dell’Aspi si collochi a cavallo del quadriennio di osservazione Naspi. Cioè nelle indennità di disoccupazione le cui ultime 52 settimane di contribuzione che vi hanno dato luogo siano a cavallo dell’inizio del quadriennio, la valutazione della contribuzione utilizzata deve riguardare – all’interno dei 12 mesi che precedono le prestazioni DSO o ASpI – prioritariamente la contribuzione più risalente delle ultime 52 settimane di contribuzione che hanno dato luogo a prestazioni DSO o ASpI anche se detta contribuzione si colloca al di fuori del quadriennio di riferimento. In sostanza, la contribuzione fuori quadriennio può essere utilizzata, sino al suo progressivo esaurimento, per neutralizzare lo scomputo delle settimane secondo il meccanismo evidenziato all’inizio, delle prestazioni DSO o Aspi più risalenti nel tempo. A vantaggio, quindi, della durata della Naspi. Si veda la tavola sottostante per un esempio del funzionamento del meccanismo di scomputo.
In assenza di questo correttivo il lavoratore, nell’esempio, avrebbe potuto valorizzare, infatti, solo le ultime 22 settimane di contribuzione versata invece delle 48 settimane a cui avrebbe ora diritto. Questa piccola tutela, tirando le somme, favorisce coloro, che, loro malgrado, hanno visto interrompersi ogni anno il rapporto lavorativo consentendogli di agguantare una prestazione contro la disoccupazione leggermente superiore rispetto a quanto verrebbe loro corrisposto senza questo meccanismo.