La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Puglia ha recentemente affrontato un’importante questione riguardante il cosiddetto “scavalco di eccedenza” negli enti locali.
Con la deliberazione n. 110/2024/PAR, il Collegio ha chiarito alcuni aspetti fondamentali sulla possibilità per i dipendenti pubblici di lavorare anche presso altre amministrazioni pubbliche, in deroga alla normativa vigente.
Che cosa si intende con il termine “scavalco”?
Il termine “scavalco“ in ambito amministrativo e pubblico si riferisce a una situazione in cui un dipendente pubblico, che ricopre un incarico a tempo pieno in un ente, viene impiegato anche presso un altro ente pubblico o privato, superando così le normali limitazioni imposte dalle normative sul lavoro pubblico.
In pratica indica la possibilità di utilizzare risorse umane, cioè dipendenti pubblici, in un altro ente o amministrazione rispetto a quella di appartenenza. Questo può avvenire per esigenze di personale o per ottimizzare l’uso delle competenze disponibili. Tuttavia, tali situazioni sono regolamentate da normative specifiche che definiscono le condizioni e i limiti entro cui è possibile effettuare tali trasferimenti.
Il caso
Inizialmente, la deliberazione ha richiamato il principio stabilito dalla legge, secondo cui il rapporto di pubblico impiego è caratterizzato da un’esclusività che impedisce ai lavoratori di svolgere altre attività presso amministrazioni pubbliche o private diverse da quella di appartenenza. Tuttavia, è stato sollevato un dubbio riguardante la possibilità di autorizzare i dipendenti a tempo pieno di un comune a lavorare anche per altre pubbliche amministrazioni diverse da quelle specificamente indicate nella normativa vigente, come ad esempio amministrazioni statali o enti pubblici non economici.
Il quesito centrale era se fosse legittimo applicare l’articolo 1, comma 557 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che prevede una deroga al principio di esclusività solo per determinati enti specificamente menzionati, estendendo tale possibilità anche ad altre pubbliche amministrazioni. In sostanza, il dubbio era se fosse possibile consentire che i dipendenti di comuni con meno di 25.000 abitanti, consorzi tra enti locali, comunità montane o unioni di comuni potessero essere impiegati da amministrazioni statali o enti pubblici non economici.
Le regole per lo scavalco d’eccedenza negli enti locali
La Corte dei conti ha risposto chiaramente che la normativa in oggetto non permette interpretazioni estensive. L’articolo 1, comma 557 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 stabilisce in modo preciso che i dipendenti a tempo pieno possono essere utilizzati solo da altri enti locali come i comuni piccoli, i consorzi tra enti locali e le comunità montane, previa autorizzazione dell’amministrazione di provenienza. L’interpretazione estesa che permetterebbe l’impiego presso amministrazioni statali o enti pubblici non economici, come paventato dal Comune di Porto Cesareo, potrebbe creare situazioni problematiche. Ad esempio, piccoli comuni con risorse limitate potrebbero vedersi privati di personale essenziale a favore di grandi amministrazioni con surplus di dipendenti.
La Corte ha sottolineato l’importanza di attenersi al principio di “in claris non fit interpretatio“, che stabilisce che una norma chiara non richiede ulteriori interpretazioni. L’articolo 1, comma 557 è considerato sufficientemente esplicito, e pertanto non vi è spazio per interpretazioni che superino il testo della legge. Solo in casi eccezionali, dove l’effetto giuridico della norma risulti incompatibile con il sistema normativo complessivo o quando la formulazione della norma sia ambigua, è possibile ricorrere ad altre forme di interpretazione.
In conclusione, la Corte dei conti ha ribadito l’importanza di rispettare la lettera della legge, evitando estensioni non previste che potrebbero compromettere l’equilibrio e la funzionalità degli enti locali, soprattutto quelli di dimensioni minori.