riforma-pensioni-quota-100Riforma Pensioni: quota 100, quali ipotesi? Il Governo studia come allargare le maglie della Legge Fornero. Obiettivo la prossima legge di bilancio. Ma già fioccano paletti e condizioni che a molti non piaceranno.


L’avvio della nuova legislatura segna la riapertura del cantiere sulle pensioni con l’obiettivo di rimettere mano alla legge Fornero in tempi rapidi. Il timing è praticamente segnato dalla scadenza dell’ape sociale (il 31 dicembre 2018) quando si dovrà decidere se prorogare o meno la misura di sostegno per le categorie più deboli (disoccupati, caregivers, invalidi e gravosi): se il nuovo esecutivo deciderà di sopprimerlo dal 1° gennaio 2019 dovrà necessariamente far partire la flessibilità in uscita basata sul programma siglato da M5S e Lega. Va anticipato subito che la partita è appena iniziata e, quindi, ci saranno molti ritocchi (soprattutto di natura politica) da qui alla fine dell’anno quando la riforma dovrebbe trovare la via della Legge di Bilancio.

 

Il progetto quota “100”

 

L’altro giorno Antonio Brambilla, consulente della Lega che ha partecipato alla redazione del programma elettorale leghista, dalle pagine del Quotidiano de La Repubblica ha anticipato i dettagli che saranno portati sul tavolo di Palazzo Chigi. I canali di uscita saranno due. Il primo, la cosiddetta quota 100, richiederà che l’interessato abbia maturato contemporaneamente un requisito di età e uno di contribuzione, la cui somma deve appunto dare 100. Per frenare le uscite il programma prevede però un requisito minimo di età a 64 anni. La combinazione possibile sarebbe, pertanto, 64 e 36 di contributi (resta in pista forse anche la combinazione 65 e 35, considerando che 35 anni di contribuzione era il limite minimo sempre richiesto anche per la pensione di anzianita’ ante-Fornero). Sarebbero fuori gioco, invece, le combinazioni 60 e 40, 61 e 39, 62 e 38 o 63 e 37 di contributi.

 

Possibile anche un tetto alla valorizzazione della contribuzione figurativa: 2 o 3 anni in tutto. Come dire che chi ha lunghi periodi di disoccupazione indennizzata, integrazioni salariali, mobilità e congedi rischierebbe di non poter centrare il requisito contributivo minimo richiesto (36 anni). A rischio pure la possibilità di cumulare la contribuzione mista, cioè quella maturata in diverse gestioni assicurative, per raggiungere i nuovi requisiti contributivi.

 

Come si intuisce se alla misura venisse abbinata l’abolizione dell’ape sociale (il nuovo esecutivo non ha indicato la volontà di proseguire la sperimentazione) il progetto delle quote rischia, quindi, di risultare peggiorativo per coloro che attualmente contano sulla possibilità di conseguire l’assegno ponte già con 63 anni e 30/36 anni di contributi. Su questo fronte sarebbe, quindi, opportuno un supplemento di indagine per non vanificare quei passi avanti raggiunti con l’accordo tra Governo e Sindacati dello settembre 2016.

 

Il tetto a 41 anni di versamenti

 

C’è poi l’uscita a 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (dagli attuali 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini) generalizzando così il beneficio previsto dal 1° maggio 2017 in favore solo di alcune categorie di lavoratori. Dal 2019 però il requisito contributivo potrebbe essere aumentato subito a 41 anni e 5 mesi per via della speranza di vita. Resterebbero in vigore le agevolazioni per gli usuranti basate sulle quote più favorevoli (61 anni e 7 mesi e 35/36 di contributi) che forse potrebbero accogliere parte dei lavori gravosi attualmente in perimetro ape social così come è praticamente certa la proroga dell’opzione donna. Non ci sarebbero modifiche ai requisiti per la pensione di vecchiaia che resterebbero così ancorati a 66 anni e 7 mesi (67 anni dal 2019) con un minimo di 20 anni di contributi; nè per l’ape volontario che continuerebbe a funzionare almeno sino al 31 dicembre 2019.

 

Altra partita delicatissima: l’esecutivo dovrà chiarire se sarà introdotta una qualche forma di penalità sulla misura della pensione per i nuovi quotisti. La proposta di Brambilla prevede, infatti, un ricalcolo in chiave contributiva dell’assegno anche se limitato alle sole anzianità maturate dopo il 1996 (pertanto valido per i soli assicurati in possesso di almeno 18 anni di contributi al 31.12.1995). Sullo sfondo resta poi la questione degli adeguamenti alla speranza di vita istat (cinque mesi in più dal 2019) con la Lega che intende mantenerli e i pentastellati chi li vorrebbero invece bloccare; la pensione di cittadinanza che dovrebbe aiutare i pensionati più poveri con un assegno minimo di 780 euro al mese e l’irrobustimento dei prepensionamenti finanziati dalle imprese. Insomma la carne al fuoco e tanta e quasi sicuramente il puzzle non si comporrà in tempi brevi.