La riforma della dirigenza pubblica, approvata nella seduta di Consiglio dei Ministri del 25 agosto, introdurrà nuove misure che apporteranno rilevanti modifiche al sistema delle amministrazioni locali. La riforma della dirigenza, infatti, avrà sugli enti locali due importanti effetti: l’istituzione della figura del dirigente apicale, come nuovo vertice della macchina burocratica, con connessa trasformazione dei segretari; la possibilità di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti che non sono alle dipendenze dell’ente, ma di altre amministrazioni (una novità che si applica solamente in quei Comuni in cui non vi sono dirigenti).
Tutti i Comuni devono avere un dirigente apicale. A questo soggetto sono affidati tre compiti: attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento delle attività amministrative, controllo di legalità.
I Comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti e quelli montani con popolazione compresa fino a 3mila abitanti devono conferire questo incarico necessariamente in forma associata. Ai Comuni che hanno più di 100mila abitanti è consentito mantenere la pre-esistente figura del direttore generale.
I sindaci potranno conferire incarichi dirigenziali per un periodo di 4 anni, con possibilità di proroga per un periodo di 2 anni e per una sola volta, a dirigenti iscritti ad uno dei tre ruoli della dirigenza pubblica: ogni volta che individueranno un dirigente non in servizio presso il proprio ente si realizzerà il trasferimento in mobilità: per i dirigenti a tempo indeterminato dunque non c’è più certezza di continuare a mantenere il proprio rapporto di lavoro presso l’amministrazione in cui sono stati assunti, anche se con un incarico diverso.