trattamento minimo, pensioniL’esecutivo ha aperto alle flessibilità in uscita. Ma restano molti dubbi su come declinare l’intervento. L’ipotesi del prestito pensionistico con il coinvolgimento delle banche non convince del tutto. Il prestito pensionistico pagato dalle banche non convince. Nelle ipotesi allo studio del Governo c’è l’obiettivo di concedere una pensione sino a 3 anni di anticipo rispetto ai requisiti attuali, vale a dire dai 63 anni e 7 mesi di età (o dai 39 anni e 10 mesi di contributi nel caso raggiungesse prima la pensione anticipata) facendo pagare al lavoratore circa il 3-4% di pensione in meno per ciascun anno di anticipo (sino ad un massimo del 10-12% dell’assegno quindi, in corrispondenza del massimo anticipo). Qui i dettagli della proposta.

 

Diversi i problemi. Essendo un prestito erogato da un intermediario finanziario non si tratterebbe quindi una pensione nel senso tradizionale del termine ma solo di un finanziamento, garantito dalla futura pensione che il lavoratore riscuoterà tre anni dopo. A quel punto la banca si riprenderà, similmente a quanto accade con la cessione del quinto della pensione, nel tempo l’assegno erogato al pensionato comprensivo degli interessi maturati. In sostanza il pensionato otterrà una pensione più bassa per un lungo periodo di tempo in quanto parte dell’assegno dovrà ristorare la banca del prestito erogato.

 

Le difficoltà sono molteplici. Innanzitutto il rischio morte prematura del pensionato. Chi ripagherà la banca del prestito erogato se appena in pensione il pensionato passa a miglior vita? Si parla di un’assicurazione ma anche la stipula della polizza ha un costo. Chi lo pagherà? Altra questione: in caso di anticipo si pagheranno o meno i contributi figurativi per quei tre anni? Se sì qualcuno dovrà farlo (lo Stato o il lavoratore) altrimenti quei tre anni saranno virtualmente persi e la pensione sarà inevitabilmente più bassa. E ancora: chi pagherà gli interessi alla banca sull’assegno anticipato? Se saranno a carico del lavoratore, ipotesi probabile, il costo dell’operazione, dopo la polizza assicurativa, è destinato a crescere ulteriormente. Inoltre cosa accadrà se l’assegno del pensionato sarà piuttosto basso, cioè inferiore, ad esempio agli 800 euro al mese: in tal caso l’applicazione della decurtazione e dei costi accessori faranno lievitare il costo dell’operazione rendendolo sconveniente.

 

Da segnalare, poi, che essendo poi un meccanismo tra privati la banca, in assenza di specifiche garanzie statali, potrebbe anche rifiutarsi di aderire allo schema e quindi concedere il finanziamento alle persone con maggiori rischi di restituzione del “debito”.

 

Lo schema pensato dall’Economia, pertanto, non convince. Si tratta a ben vedere dell’ennesimo tentativo di spostare i costi della previdenza dallo Stato ad altri soggetti, come banche, imprese e gli stessi lavoratori. In questo caso poi il sistema bancario e assicurativo ci guadagnerebbe non poco per effetto delle somme che entrerebbero in gioco. In realtà sarebbe necessario rimettere un pò di denari nel capitolo pensioni per ristorare quelle categorie che maggiormente hanno pagato in questi anni come disoccupati, donne, precoci e lavori usuranti. E i giovani. L’ipotesi Damiano-Baretta (il ddl 857) ma anche quella Boeri appaiono invece proposte più ragionate ed eque sul piano sociale che dovrebbero essere prese in considerazione. A maggio, quando il Governo avrà messo a punto la sua proposta in modo più completo, si inizierà la discussione sulla flessibilità in uscita nella speranza che ci sia la possibilità di un confronto parlamentare.