I diversi decreti legge susseguitisi in questi mesi adottati dal Governo per le note ragioni di necessità e di urgenza, hanno apportato considerevoli novità per le Pubbliche Amministrazioni con riferimento a differenti aspetti.
Cosa cambia nel rapporto tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini?
Dallo svolgimento della prestazione lavorativa nella modalità lavoro agile/smart working, alle numerose deroghe all’applicazione delle disposizioni del Codice dei Contratti pubblici, in particolare quelle relative al ricorso all’affidamento diretto, la pandemia ha portato all’introduzione di significative innovazioni normative che hanno modificato e, in un certo senso, rivoluzionato il modo di agire, come pure di concepire, la Pubblica Amministrazione.
In merito, sono senz’altro da porre in evidenza le modifiche che hanno interessato la legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, non di certo nuova a revisioni, quasi sempre recate in attuazione delle diverse riforme del settore pubblico intervenute in questi anni.
Modifiche che, nel mare magnum delle nuove norme adottate in via d’urgenza, non hanno probabilmente ricevuto ancora la giusta attenzione ma sulle quali sembra, invece, opportuno soffermarsi.
Come cambia il rapporto tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini?
Ci si riferisce, tra le altre, alla novità costituita dall’affermazione di un rilevante principio che va a regolare il rapporto e la relazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, sancito nel nuovo comma 2-bis dell’articolo 1 e secondo cui “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.
Una norma che, di fatto, aggiunge ai tradizionali criteri che devono scandire l’attività amministrativa (economicità, efficienza, imparzialità, pubblicità e trasparenza) due nuovi criteri, quello della “collaborazione” e della “buona fede”.
“Collaborazione”
Per quanto attiene al primo aspetto, quello relativo alla “collaborazione”, si evidenzia come finora il legislatore domestico aveva affermato in modo esplicito tale principio essenzialmente in relazione ai rapporti tra le singole pubbliche amministrazioni prevedendo a tal fine, una serie di strumenti improntati, appunto, a una relazione collaborativa tra Istituzioni diverse coinvolte in un medesimo procedimento.
Emblematica, in tali sensi, è la previsione di strumenti come la “conferenza di servizi”, ampiamente rinnovato con la cosiddetta “Riforma Madia”, oppure gli accordi tra pubbliche amministrazioni o ancora, il meccanismo del “silenzio-assenso” tra le stesse, come anche le previgenti disposizioni in materia di “decertificazione”.
Una collaborazione, peraltro, doverosa in un sistema caratterizzato da un accentuato pluralismo istituzionale e in cui sempre più spesso occorre adottare decisioni pluristrutturate che richiedono, necessariamente, una cooperazione tra differenti attori interessati, anche a diversi livelli di governo. Una “collaborazione” che, di fatto, assume la valenza di una “parola d’ordine” dell’agire amministrativo.
Per quanto concerne, invece, i rapporti collaborativi tra Pubblica Amministrazione e privato, nella stessa legge n. 241/1990 il principio di collaborazione è affermato in via indiretta attraverso tutte le disposizioni finalizzate alla partecipazione all’azione amministrativa: si pensi, ad esempio, ad istituti quali gli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento o al diritto di intervento, come anche al più generale obbligo di comunicazione di avvio del procedimento o, ancora, al cosiddetto “preavviso di rigetto”.
Tuttavia, un’asserzione chiara e manifesta in merito all’esigenza di un rapporto collaborativo tra singole Pubbliche Amministrazioni e cittadini è possibile ritrovarla nell’ambito dell’attuazione del diritto di accesso generalizzato (più comunemente noto come “FOIA”), seppure non in una norma di legge ma in un atto di diversa natura.
Si tratta, in particolare, della prima circolare applicativa sul FOIA adottata dal Ministero della Semplificazione e Pubblica Amministrazione (la circolare n. 2/2017) in cui era stata, infatti, apertamente evidenziata l’opportunità di un “dialogo cooperativo” tra l’Amministrazione destinataria di un’istanza di accesso generalizzato e il cittadino richiedente.
Una cooperazione, peraltro, auspicabile sia nella fase iniziale di presentazione dell’istanza, sia nel corso della istruttoria della stessa, sia, infine, nella fase conclusiva del procedimento, in misura più incisiva laddove la conclusione del procedimento stesso comporti l’adozione di un diniego, totale o parziale.
“Buona fede”
Per quanto attiene, invece, al secondo criterio, quello rappresentato dalla “buona fede”, anche qui si osserva come il legislatore, nel disciplinare il procedimento amministrativo, non aveva fatto finora esplicito richiamo a tale principio, mentre la giurisprudenza lo ha considerato sempre più spesso come valevole tanto per l’attività dei soggetti pubblici quanto per l’attività di carattere privatistico, come in materia di contratti pubblici, in cui le pubbliche amministrazioni sono tenute ad osservare tale principio sia nella fase di esecuzione del contratto, sia nella fase precontrattuale, in conformità, peraltro, degli artt. 1175 e 1337 c.c..
In linea generale, altresì, il criterio di buona fede era tuttavia ravvisabile all’interno dei più generali principi dell’agire amministrativo richiamati all’inizio del testo della legge n. 241/1990, non solo derivanti dall’ordinamento nazionale, ma anche da quello comunitario, come anche in quei noti principi di “buon andamento e imparzialità” dell’azione amministrativa sanciti nella Costituzione.
Adesso, però, con questa novella legislativa si è inteso dare al principio di “buona fede” una sua valenza e dignità autonoma, in linea con l’orientamento giurisprudenziale di considerare l’azione amministrativa come un’azione che deve essere guidata non soltanto dall’osservanza di doveri comportamentali cristallizzati in norme giuridiche, ma anche nell’assunzione di condotte proprie del funzionario pubblico che vanno al di là del pedissequo rispetto di regole procedimentali.
In tali sensi, la “buona fede” si ricollega senza dubbio anche alla finalità di evitare comportamenti di mala administration e, dunque, a prevenire l’assunzione di condotte corruttive, concorrendo nel contempo all’attuazione del più ampio principio di trasparenza che dell’attività di prevenzione della corruzione costituisce misura attuativa principale.
La telematica nella PA
“Last but not least”, ossia non ultima per rilevanza, è la previsione contenuta nel novellato art. 3-bis della legge n. 241/1990 dedicato all’uso della telematica da parte delle pubbliche amministrazione, sia nei rapporti interni, sia nei rapporti con altre realtà pubbliche e sia, ancora, tra nei rapporti con i privati. Difatti, non è affatto secondaria la sostituzione della precedente formulazione che indicava il ricorso a strumenti informatici e telematici come una “facoltà” per le pubbliche amministrazioni, con l’attuale “le amministrazioni pubbliche agiscono mediante strumenti informatici e telematici” a voler indicare, in modo chiaro e deciso, l’uso della telematica come un vero e proprio dovere e non più una scelta di tipo discrezionale.
Si tratta, in sostanza, di piccole eppure indicative novità che assumono, però, una significatività particolare per accorciare ulteriormente le distanze tra Pubblica Amministrazione e cittadini, contribuendo a mitigare quel senso di diffidenza che ancora, a volte, sembra aleggiare in tale relazione.
Fonte: articolo di Anna Barbato
Nel rapporto cittadini-pubblica amministrazione (intendo qualunque Ente pubblico a cominciare dai Comuni) mi accontenterei che ci fosse l’obbligo di risposta immediata all’eventuale mail di un cittadino: magari una risposta interlocutoria, ma che il cittadino almeno sappia che la mail è arrivata al posto giusto!