Grava sulla parte datoriale, privata o pubblica, l’onere della prova delle circostanze ostative
all’esercizio del trasferimento del lavoratore per l’assistenza di familiari non
autosufficienti. Lo ribadisce la Corte di Cassazione in sentenza 18030/2014. A ricorrere
alla suprema Corte provvedeva il datore di lavoro, sostenendo che il diritto del lavoratore
ad essere trasferito per apprestare assistenza al familiare disabile è condizionato alle
esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro, essendo così legittimo il rifiuto
opposto dal datore di lavoro qualora l’esercizio di tale diritto sia incompatibile con le dette
esigenze datoriali. La Corte non è stata dello stesso parere. Seppure è noto che l’art. 33,
comma quinto della legge 104 del 1992 deve essere interpretato nel senso che il diritto del
genitore o del familiare lavoratore dell’handicappato di scegliere la sede più vicina al
proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso – ha
affermato il collegio – non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre gli altri requisiti
esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l’interesse comune, posto
che secondo il legislatore – come è dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove
possibile” – il diritto alla effettiva tutela dell’handicappato non può essere fatto valere
quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed
organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi – soprattutto per quel che
riguarda i rapporti di lavoro pubblico – in un danno per la collettività. E’altrettanto vero
che la sentenza impugnata non ha affatto riconosciuto la sussistenza incondizionata di tale
diritto, subordinandolo piuttosto alla insussistenza di condizioni organizzative e produttive
ostative .
D’altro canto deve rimarcarsi che grava comunque sulla parte datoriale, privata o
pubblica, l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio dell’anzidetto
diritto. Lamentava anche la parte ricorrente che l’accertamento della invalidità dei genitori
del dipendente era intervenuto solo nel corso del 2001, ovvero successivamente alla
costituzione del rapporto di lavoro (1997), sicché la richiesta mirava unicamente a
costituire un rapporto di assistenza dopo molti anni. Anche tale motivo è stato ritenuto
infondato. Ed invero esso si fonda su di un risalente orientamento della stessa Corte,
secondo cui, in materia di assistenza alle persone handicappate, la norma di cui all’art. 33,
quinto comma, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, sul diritto del genitore o familiare
lavoratore “che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado
handicappato” di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio,
non è applicabile nel caso in cui la convivenza sia stata interrotta per effetto
dell’assegnazione, al momento dell’assunzione, della sede lavorativa e il familiare tenda
successivamente a ripristinarla attraverso il trasferimento in una sede vicina al domicilio
dell’handicappato (Cass. n.3027\99, Cass. n. 829\01).
Occorre tuttavia rimarcare che secondo i più recenti arresti della stessa Corte
cui all’art. 33, sesto comma, della legge n.104 del 1992, circa il diritto del disabile in
situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio
domicilio, va interpretata nel senso che esso può essere esercitato, al ricorrere delle
condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche successivamente a
quest’ultima e, in tal caso, sia quando la situazione di handicap intervenga in corso di
rapporto, sia quando essa preesista ma l’interessato, per ragioni apprezzabili, intenda
mutare la propria residenza, deponendo in tal senso, oltre che la lettera della norma,
l’esigenza di consentire l’effettività del diritto al lavoro in capo alla persona svantaggiata a
causa della situazione di handicap. A tale orientamento, maggiormente in linea con i
principi costituzionali in materia, la Corte ha inteso quindi dare continuità. Ne è
conseguito il rigetto del ricorso.
FONTE: ANCL – Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro, Sindacato Unitario
AUTORE: Renzo La Costa