licenziamento ritorsivoVediamo cos’è il licenziamento ritorsivo e cosa può fare il lavoratore, in questi casi, per i propri diritti.


Licenziamento ritorsivo: quando un dipendente viene licenziato, può intentare una causa contro il datore di lavoro, se il licenziamento viene giudicato ingiustificato.

Ma quali sono i diritti del lavoratore, se il licenziamento avviene per una ritorsione? Vediamolo insieme.

Licenziamento ritorsivo: cos’è

Un licenziamento si dice “ritorsivo”, quando avviene un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro ad un comportamento legittimo del lavoratore, inerente ai suoi diritti derivanti dal rapporto di lavoro o ad esso connessi.

Può avvenire a causa di uno sciopero del lavoratore, ad esempio.
Si distingue dal licenziamento discriminatorio, perché quest’ultimo avviene per ragione collegate al sesso, alla religione, all’età, all’orientamento sessuale, politico o sindacale del dipendente.

Ciò che caratterizza un licenziamento ritorsivo è

  • L’assenza di una giusta causa, ovvero l’assenza di un valido motivo, di natura oggettiva o soggettiva, per il licenziamento;
  • Lo scopo vendicativo, in seguito ad un comportamento lecito del lavoratore.

Licenziamento ritorsivo: come dimostrarlo

Se si vuole contestare un licenziamento ritorsivo, il dipendente deve inviare una PEC o una raccomandata a.r. al datore di lavoro, per dichiarare la sua opposizione al licenziamento, entro 60 giorni dalla comunicazione dell’azienda.

Entro 180 giorni dall’invio della lettera, va depositato il ricorso in tribunale, che dovrà essere redatto e curato da un avvocato.

Come accade sempre nella giurisprudenza, chi inizia la causa ha l’onere della prova, perciò il lavoratore dovrà presentare le prove che il licenziamento è stato una ritorsione. Per poter accogliere la causa, la ritorsione dovrà essere l’unica causa del licenziamento.

Come dichiarato dalla Cassazione, nella sentenza 26395/2022, la ritorsione deve aver avuto

“efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere la necessità di procedere a un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni che hanno causato il recesso, ossia quelle riconducibili a una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento”.

Poiché non è facile dimostrare la ritorsione del datore di lavoro, la giurisprudenza accetta anche semplici indizi (le cosiddette “presunzioni”). Il lavoratore, in questo modo, dovrà dimostrare l’intento discriminatorio e di rappresaglia del datore di lavoro, dietro il licenziamento.

Se il licenziamento risulterà veramente ritorsivo, il licenziamento sarà annullato e il lavoratore potrà riavere il proprio posto di lavoro o richiedere un risarcimento danni.


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it