Licenziamento dipendente che parla male del proprio datore di lavoroSe un dipendente parla male del suo datore di lavoro, può rischiare il licenziamento? Ecco tutte le casistiche.


Parlare male di una persona ad un’altra persona non è reato.

Non può essere considerata diffamazione, poiché in quel caso si richiede la presenza di almeno altre due persone ad ascoltare la frase offensiva. E non si può considerare neanche ingiuria, perché questa scatta quando ci si rivolge direttamente alla vittima.

Ma se la vittima è il datore di lavoro, possono esserci delle conseguenze per il dipendente, come il licenziamento. Ma in quali casi? Vediamolo insieme.

Dipendente parla male del datore di lavoro: è possibile il licenziamento?

Un dipendente può sfogarsi, raccontando degli avvenimenti e dando la sua opinione, riguardo la sua attività lavorativa. Questo non è ovviamente reato.
L’illecito, però, scatta se vengono diffuse queste critiche, soprattutto se non corrispondono ad una narrazione oggettiva, ma contengono insulti, offese e accuse non documentate.

Il diritto di critica è riconosciuto dagli articoli 21 e 39 della Costituzione e può essere esercitato legittimamente da ogni cittadino, anche in riferimento al proprio datore di lavoro o all’azienda. Ciò si manifesta con la libertà di esprimere la propria opinione su dei fatti accaduti.

Ma se questo è un mezzo per denigrare un soggetto (in questo caso il datore di lavoro) può scattare l’illecito. Si può parlare male del proprio datore di lavoro, ma con dati effettivi e comprovati, senza utilizzare toni denigranti e rispettando il decoro, la reputazione e l’immagine del datore di lavoro.

Licenziamento dipendente che parla male del proprio datore di lavoroLicenziamento dipendente che parla male del proprio datore di lavoro: la sentenza

In particolare, facciamo riferimento all’ordinanza del 22 dicembre 2023 e alla sentenza n°27939/2021.

In entrambi i casi, la Corte di Cassazione ha giudicato legittimo il licenziamento per giusta causa di un dipendente che ha parlato male del suo datore di lavoro e dei vertici dell’azienda sui profili social aperti al pubblico.

Il licenziamento non sarebbe accaduto se la comunicazione fosse stata limitata o privata o se le pubblicazioni avessero avuto a oggetto fatti comprovati e toni consoni.
Ciò è successo perché è venuto meno il rapporto di fiducia che intercorre tra dipendente e datore di lavoro, stipulato al momento dell’assunzione.

Bisogna sottolineare, però, che il licenziamento è legittimo perché il dipendente non ha a cuore l’immagine aziendale, infrangendo il rapporto di lavoro. L’aggravante di questa situazione sta nella pubblicazione del materiale sui social media, facendo sussistere il reato di diffamazione.

Il licenziamento per giusta causa può essere applicato se sussiste un attacco alle qualità morali, professionali e personali, mediante un linguaggio non appropriato, se i fatti vengono raccontati in maniera non oggettiva e se si rompe il rapporto di fiducia tra dipendente e datore di lavoro.


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it