benefici, lavoratori precoci 2Entro il 21 settembre il tavolo politico tra Governo e sindacati dovrà sciogliere il nodo dei lavoratori con lunghe carriere contributive. Possibile il riconoscimento di benefici solo per chi ha svolto lavori nella minore età.

 

Nei prossimi giorni Governo e sindacati dovranno sciogliere il nodo sui lavoratori precoci, una delle principali questioni irrisolte dopo l’introduzione della Riforma Fornero nel 2011. Sul tavolo ci sono una serie di misure degne di nota i cui costi saranno vagliati compatibilmente con le risorse che il Governo vorrà mettere a disposizione per il pacchetto previdenza. Le indicazioni che sono circolate in questa settimana parlano di un intervento intorno ai 2 miliardi di euro. Si dovrà vedere, quindi, se saranno sufficienti a consentire un intervento su questa categoria di lavoratori.

 

Per i precoci si parte dal riconoscimento bonus contributivo dai 2 ai 6 mesi per ogni anno di lavoro svolto nella minore età, cioè tra i 14 ed i 18 anni. Una maggiorazione convenzionale dell’anzianità contributiva che dovrebbe aiutare chi ha iniziato a lavorare in età particolarmente basse ad agganciare più rapidamente i requisiti contributivi della pensione anticipata. Che resterebbero però quelli attuali: cioè 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, a prescindere dall’età anagrafica. E quindi ad uscire prima delle norme vigenti. Il bonus potrebbe anche essere calibrato diversamente.  Si tratterebbe a ben vedere di un intervento parziale ben lontano dall’ipotesi Quota 41 chiesta dalla minoranza dem che si applicherebbe, invece, indistintamente a tutti i lavoratori. Nessun beneficio sarebbe riconosciuto a coloro che hanno iniziato a lavorare durante la maggiore età o per coloro che hanno riscattato i periodi di studio, uno degli stratagemmi che consente oggi di incrementare, a pagamento, l’anzianità contributiva utile per la pensione anticipata.

 

Anche i futuri adeguamenti alla speranza di vita potrebbero essere rivisti. Tra le ipotesi discusse tra Governo e sindacati c’è la previsione dal 2019 che l’aggiornamento alla speranza di vita per chi esce con la pensione anticipata non scatti più ogni 2 anni ma ad intervalli maggiori, con l’introduzione comunque di tetti massimi di anzianità contributiva oltre i quali i requisiti non verrebbero più adeguati. Un ulteriore intervento sui precoci, particolarmente importante, sarebbe l’eliminazione della penalizzazione prevista dalla legge Fornero per le uscite anticipate prima dei 62 anni che, a legislazione vigente, verrebbe ripristinata a partire dal 2018.

 

Altro punto di accordo è l’addio alle ricongiunzioni onerose per tutti i lavoratori con contribuzioni in diverse gestioni. Questo obiettivo sarebbe ottenuto, in realtà, estendendo l’attuale cumulo dei periodi assicurativi (previsto dalla legge 228/2012) anche alla pensione anticipata o con una modifica chirurgica alla totalizzazione nazionale grazie alla quale gli interessati potranno preservare le regole di calcolo di ciascuna gestione (dunque senza alcuna penalità sull’importo pensionistico).

 

E’ probabile poi una riduzione strutturale della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione, collegati ad un investimento nell’economia reale. Si lavora ancora sugli esodati con l’obiettivo di garantire una soluzione definitiva della questione, sul capitolo dedicato ai lavori usuranti e su forme per rendere più agevole fiscalmente il riscatto dei periodi di studio e/o il versamento dei contributi volontari. Sulle pensioni in essere, invece, l’ipotesi del governo è quella di studiare l’equiparazione della no tax area di tutti i pensionati a prescindere dall’età, al livello di quella dei dipendenti e dei relativi aumenti delle detrazioni fiscali per lavoro dipendente realizzate dal Governo Letta oltre ad un irrobustimento della 14^ mensilità.