La Cassazione, con l’ordinanza 13680/2024, ha stabilito alcuni importanti principi sull’abuso nella successione di contratti a tempo determinato e sul termine di impugnazione applicabile.
I giudici hanno offerto una chiara interpretazione della normativa relativa ai contratti a tempo determinato, ponendo un freno all’abuso della loro reiterazione e garantendo una maggiore tutela ai lavoratori coinvolti. La sentenza rinforza la necessità di un’applicazione rigorosa delle norme a tutela del lavoro, in conformità con il diritto comunitario.
Scopriamo dunque nello specifico i dettagli di questa nuova pronuncia giuridica.
Il caso
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da alcuni lavoratori contro il Comune di Carini. I ricorrenti avevano stipulato diversi contratti a tempo determinato, iniziati prima del 1° aprile 2005 e proseguiti fino al 1° aprile 2015. La loro richiesta verteva sulla dichiarazione di nullità dei termini apposti ai contratti e sul riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con le conseguenti differenze retributive o, in alternativa, il risarcimento del danno subito.
Il Tribunale di Palermo prima e la Corte d’Appello di Palermo poi, avevano respinto le richieste, sostenendo che i ricorrenti erano decaduti dal diritto di impugnare i contratti precedenti al 1° aprile 2005, in base alla normativa vigente.
Le regole per l’impugnazione nei casi di abuso di contratti a tempo determinato
Contrariamente a quanto deciso dai giudici di merito, la Corte di Cassazione ha ribadito che il termine di impugnazione, previsto dall’articolo 32, comma 4, lettera a) della Legge n. 183/2010, deve essere applicato a partire dall’ultimo contratto stipulato tra le parti. Questo significa che l’analisi dell’abusività deve considerare l’intera sequenza dei contratti, e non solo i singoli contratti presi separatamente.
Secondo la Suprema Corte, la sequenza contrattuale che precede l’ultimo contratto costituisce un dato fattuale che contribuisce a dimostrare l’abusività dell’utilizzo dei contratti a termine. Tale principio è stato rafforzato richiamando precedenti decisioni (Cass. n. 8038/2022 e Cass. n. 4960/2023) e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, causa C-53/04, Marrosu Sardino).
La Corte ha quindi cassato la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, rinviando il caso a un nuovo esame da parte della stessa Corte in diversa composizione, affinché si pronunci in merito alla configurabilità di una reiterazione abusiva dei contratti a termine e sulle relative conseguenze risarcitorie.
Questa decisione assume una particolare importanza per i lavoratori, poiché stabilisce che l’impugnazione dell’ultimo contratto può estendersi anche ai contratti precedenti. Per i datori di lavoro, invece, impone maggiore attenzione nella gestione dei contratti a tempo determinato, evitando di incorrere in pratiche abusive che potrebbero comportare rilevanti sanzioni e obblighi risarcitori.
Il testo della sentenza
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it