passaggio giuridico dipendenti pubbliciIn un recente articolo di approfondimento, curato dal Dottor Simone Chiarelli per Lentepubblica.it, l’analisi di una questione molto rilevante per i dipendenti pubblici: passaggio giuridico tra diverse Amministrazioni.


L’intensa attività di reclutamento perfezionata dalla Pubblica Amministrazione nell’ultimo anno, che avrà un importante seguito amministrativo anche grazie alle norme del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.), impone a tutti i giovani dipendenti pubblici, che vogliano progredire nelle proprie carriere, di conoscere i diversi istituti positivamente previsti dall’ordinamento che ammettono il passaggio giuridico del proprio contratto di lavoro tra diverse Amministrazioni.

La Pubblica Amministrazione

È necessario iniziare con il rispondere alla domanda “cosa è la Pubblica Amministrazione?” può mettere in seria difficoltà molti studiosi del diritto. Apparentemente il quesito può sembrare semplice ma cela, dietro di sé, una grande quantità di controverse interpretazioni.

Il significato che oggi si riconosce al termine “pubblica amministrazione” ha un valore completamente diverso rispetto a quello che si riconosceva anni addietro. In passato poteva sembrare molto più semplice dare una definizione univoca di P.A. ma ciò era dovuto, non all’approssimazione dei termini utilizzati ma al contesto socio- economico dell’epoca.

L’aspetto imprenditoriale della fine del secolo scorso, poneva una netta distinzione tra chi fosse un manager di stato e chi fosse invece un imprenditore del settore privato. Con il passare del tempo e con lo sviluppo di nuovi istituti di diritto, questo confine di separazione si è reso sempre più mobile portando alcuni soggetti, che prima erano esterni al perimetro della P.A., al suo interno e viceversa.

In sintesi, esistono ad oggi soggetti che, per determinate finalità, vengono assimilati a Enti pubblici [1] e, per altre finalità, a Organismi del settore privato.

Basti osservare le norme sul pubblico impiego, sull’anticorruzione, sulla trasparenza, sul procedimento amministrativo, sulla contrattualistica pubblica: per alcune di queste uno stesso soggetto è Amministrazione Pubblica mentre per altre un semplice soggetto di diritto privato.

Esempi in questo senso possono essere individuati nell’Agenzia del Demanio che, seppur definito Ente Pubblico, non soggiace alle regole in materia di concorsi pubblici [2] ma, in forza di particolari disposti normativi [3] si avvale di una procedura selettiva per la ricerca e selezione del proprio personale.

Secondo tale ricostruzione, per provare a chiarire nel miglior modo possibile il concetto di pubblica amministrazione, è possibile partire dalla principale base normativa dell’articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Base normativa che individua, in modo tipico, le pubbliche amministrazioni soggette alla disciplina del testo unico del pubblico impiego. Il disposto indica che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed Amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 ovvero l’Agenzia delle Entrate, delle Dogane e Monopoli e del Demanio.

In realtà, l’art. 4 della legge n. 70 del 1975 stabilisce che “nessun nuovo ente pubblico può essere costituito o riconosciuto se non per legge”. La norma svolge una funzione attuativa di quanto indicato all’art. 97 della Costituzione nel quale viene disposto che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge.

Ora, stabilire se un soggetto sia pubblica amministrazione o meno, oltre ad essere complesso, non è cosa di poca rilevanza. Infatti, ciò che discende da tale qualificazione modifica completamente le modalità di azione del soggetto. Nel caso in cui fosse qualificata tale avrebbe, ad esempio, il potere autoritativo [4].

Considerata la definizione sostanziale attribuita alla pubblica amministrazione, il rapporto di lavoro nel pubblico impiego è quanto mai articolato e complesso.

Nell’ultimo decennio del secolo scorso, in cui la natura giuridica del lavoro nel pubblico impiego era nettamente diversa e distinta rispetto a quella nel settore privato, si è avviato un percorso di tendenziale rivisitazione del sistema di lavoro che ha portato, per via legislativa, alla privatizzazione del rapporto di impiego nella pubblica amministrazione. La disposizione che ha generato questo cambio di tendenza è il decreto legislativo n. 29 del 1993. Ad oggi la disciplina è racchiusa nel citato decreto legislativo n. 165 del 2001 con il quale si è stabilito che, i rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, fossero disciplinati contrattualmente. Ciò in base ai contratti collettivi nazionali del lavoro stipulati tra sindacati e organismo di rappresentanza [5]. Il rapporto di lavoro pubblico, sottoposto al processo di privatizzazione, è costituito e regolato non da un atto unilaterale di nomina da parte dell’Ente, bensì da un contratto individuale di lavoro che riveste le forme del contratto tipico del diritto privato e che quindi soggiace alle regole del codice civile.

Questo percorso di privatizzazione che può sembrare asciutto di contenuti, in realtà, in Italia, è stata una rivoluzione amministrativa ed è alla base dei ragionamenti per i passaggi giuridici, dei dipendenti, tra Amministrazioni.

In modo schematico è possibile quindi avere un’immediata conoscenza, in modo abbastanza agevole, se si fa parte di una amministrazione contrattualizzata o meno con tutte le differenze che ne discendono. Tutto ciò genera una certezza: il passaggio di lavoro tra Amministrazioni diverse, che hanno tuttavia una stessa natura giuridica in termini contrattuali, è variegato e ampio.

Il rapporto di lavoro nel pubblico impiego

Nei casi in cui l’amministrazione sia regolata da un contratto di lavoro, la giurisdizione, di norma, è del giudice ordinario. L’articolo 2 comma 2 del Testo unico del Pubblico Impiego recita che “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo.

Nelle categorie, invece, in regime di diritto pubblico l’amministrazione agisce, ancora, in posizione di supremazia rispetto al lavoratore e pertanto il giudice competente sarà, di norma, quello amministrativo. Infatti, in tale ambito, i dipendenti non stipulano un contratto costitutivo di un rapporto obbligatorio, ma accettano un provvedimento attributivo di status. In virtù di ciò tutte le situazioni soggettive che discendono dall’appartenenza a tale sfera del pubblico impiego, sono statuite dalla legge, o, sulla base di essa, da altre fonti unilaterali. In questo senso, gli atti del datore di lavoro con cui l’amministrazione opera nel rapporto con il lavoratore, hanno a tutti gli effetti di legge natura giuridica di provvedimenti amministrativi. Rispetto a questi il dipendente può ottenere tutela presso il giudice amministrativo perché vi è in effetti esercizio di potere da parte dell’Autorità.

Interessante è osservare il raffronto tra il dettato normativo dell’articolo 3 e dell’articolo 1 comma 2 del D.Lgs. 165 del 2001. Autorevoli interpreti hanno fatto notare come il testo normativo, nel caso dell’articolo 3, si rivolga direttamente alle figure professionali e delimiti quindi l’ambito soggettivo di appartenenza. Di converso, l’articolo 1 comma 2 si rivolge alle amministrazioni delimitando quindi l’ambito oggettivo.

In realtà dottrina più attenta indica che la qualificazione ex articolo 3, non riguarda l’esclusione complessiva dall’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001 ma soltanto la parte attinente alle fonti del rapporto di lavoro. Sono, quindi, generalmente applicabili le norme del Testo Unico che non siano legate alla privatizzazione della fonte di disciplina del rapporto, o derogate da norme speciali contenute negli ordinamenti settoriali. Un esempio di ciò che si illustra, può essere fornito dall’esclusione espressa di alcune categorie di cui all’art. 3, dall’applicazione di specifiche disposizioni attinenti ad aspetti e materie, squisitamente organizzative, non contrattualizzate.

Passaggio giuridico tra diverse Amministrazioni

In linea generale, gli istituti giuridici con cui un dipendente pubblico può trasferirsi da un’Amministrazione ad un’altra possono essere schematicamente suddivisi in percorsi due tipologie:

  • “interni”
  • “esterni”.

I primi prevedono un percorso rivolto ai soli dipendenti pubblici, i secondi invece hanno un perimetro di riferimento più ampio in quanto coinvolgono anche personale non già dipendente delle Amministrazioni.

La Mobilità, il Comando e il Distacco possono essere annoverati tra i primi: in tal senso, mente il Comando ed il Distacco sono disciplinati in vari strumenti normativi, la mobilità è statuita in modo univoco nell’articolo 30 del D. Lgs. n. 165 del 2001. Il dettato normativo prevede che le Pubbliche Amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. È richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall’amministrazione cedente o di personale assunto da meno di tre anni o qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente. È fatta salva la possibilità di differire, per motivate esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell’istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione. La disposizione in argomento non si applica al personale degli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100 per i quali è comunque richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari ad almeno trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. Ferme restando quindi le articolate procedure previste nell’articolato normativo di riferimento è di tutta evidenza che questi istituti vengono eseguiti attraverso procedure rivolte esclusivamente ai dipendenti pubblici.

Tra i secondi, ovvero i “passaggi indiretti”, è annoverabile il concorso pubblico ovvero quella procedura che traccia un perimetro di riferimento universale e non già un limite soggettivo pubblico. In tali casi due sono gli aspetti di interesse per i candidati già dipendenti pubblici: i posti eventualmente riservati e le garanzie previste durante le fasi concorsuali.

Nel caso infatti in cui un candidato, già dipendente pubblico, si dovesse avvalere delle procedure concorsuali, al termine della procedura stessa potrà beneficiare delle salvaguardie previste dal proprio Contratto Nazionale di Lavoro di riferimento il quale prevede espressamente l’istituto della “aspettativa per vincitori di concorso”. In questo caso il contratto di lavoro riconosce un periodo in cui il lavoratore si assenta dal proprio impiego a tempo indeterminato per sostenere il periodo di prova nella nuova amministrazione. In virtù di ciò, il dipendente a tempo indeterminato, vincitore di concorso, durante il periodo di prova, ha diritto alla conservazione del posto, senza retribuzione, presso l’amministrazione di provenienza per un arco temporale pari alla durata del periodo di prova formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione.

In caso di mancato superamento della prova o per recesso di una delle parti, il dipendente, a domanda, potrà rientrare nella area o categoria e profilo professionale di provenienza.

La particolare fattispecie del concorso dell’Agenzia delle Entrate

L’occasione della recente pubblicazione degli ammessi al tirocinio teorico-pratico della selezione pubblica per l’assunzione a tempo indeterminato di 100 funzionari tecnici presso l’Agenzia delle Entrate, consente di approfondire una particolarissima fattispecie di passaggio indiretto dei dipendenti pubblici tra Amministrazioni nei diversi casi di specie. Si coglie l’occasione di questa particolare modalità di selezione, in quanto rappresenta un unicum nel panorama delle procedure legislative e convenzionali esistenti. Particolare valore riveste la fattispecie di passaggio tra Amministrazioni nel caso di questa procedura concorsuale in quanto l’Amministrazione finanziaria ha da tempo deciso di articolare l’assunzione del nuovo personale secondo una schematizzazione infra-procedimentale a tre diversi livelli:

  • la valutazione dei titoli;
  • la prova oggettiva tecnico-professionale;
  • la prova orale integrata da un tirocinio teorico-pratico.

Infatti, secondo un approccio innovativo di stampo europeista, la valutazione concorsuale dei candidati non passa solo attraverso prove scritte e orali, come normalmente accade, ma anche attraverso un tirocinio (training on the job) che permette, ai responsabili degli Uffici, prima dell’assunzione, di valutare per diversi mesi anche le capacità relazionali e organizzative dei candidati.

Come precisato in atti pubblici dalla stessa Agenzia e dalle valutazioni interpretative dell’ARAN, l’espletamento del tirocinio teorico-pratico si colloca ancora in una fase concorsuale e i candidati beneficiano infatti di una “borsa di studio” (non di uno “stipendio”).

Ciò genera, per i dipendenti di altra Amministrazione Pubblica che partecipano alla procedura, una fattispecie di passaggio che non si colloca precisamente nell’alveo dell’aspettativa per vincita di concorso in quanto, di diritto, i candidati ammessi al tirocinio non hanno ancora tecnicamente vinto la procedura e sono titolari, quindi, di soli interessi legittimi.

Risulta però evidente che al lavoratore già dipendente pubblico, per i principi generali del diritto e della nostra Carta costituzionale, non può non esser riconosciuto uno strumento di garanzia per la conservazione del posto di lavoro già in essere presso altra Pubblica Amministrazione. Se così non fosse si creerebbe una rilevante disparità di trattamento a discapito di chi ha già un impiego pubblico.

Un primo orientamento applicativo dell’ARAN del 2012 rappresentava infatti che, nel caso di specie, la vigente disciplina contrattuale non prevede l’aspettativa per motivi personali anche per l’instaurazione e lo svolgimento, durante lo stesso periodo, di un altro rapporto di lavoro, anche se di carattere temporaneo. L’orientamento conclude precisando che il tirocinio dell’Agenzia si colloca addirittura in una fase antecedente alla sottoscrizione del contratto individuale di lavoro (e quindi all’instaurazione del rapporto di lavoro) e non può in nessun modo equipararsi (per funzione e durata) al periodo di prova. Tale orientamento che chiarisce quindi implicitamente che l’istituto dell’aspettativa per vincita di concorso non può essere utilizzato è stato tuttavia distorto nella sua applicazione dalle diverse pubbliche amministrazioni in maniera pratica intendendo tale approfondimento come una eliminazione di ogni alternativa possibile. Dal momento che, per l’ordinamento, ciò non può esser ammissibile, l’ARAN nel 2013, è dovuta nuovamente intervenire facendosi interprete autentico di quanto indicato nel 2012. Ha quindi precisato che il suo primo orientamento applicativo “si è limitato solo ad enunciare la regola generale in materia di aspettativa per motivi personali, secondo la quale, in base alla disciplina contrattuale, il dipendente non può avvalersi di tale istituto anche per l’instaurazione e lo svolgimento, durante lo stesso periodo, di un altro rapporto di lavoro, anche se di carattere temporaneo. Diversamente ritenendo, infatti, la disciplina dell’art. 11 del CCNL del 14.9.2000 si sarebbe posta in inevitabile contrasto con le disposizioni dell’art.53 del D.Lgs.n.165/2001 in materia di incompatibilità. (Conclude l’ARAN rappresentando che) (s)petta, invece, all’ente di appartenenza del lavoratore, nella sua veste di datore di lavoro, verificare se nel caso concreto ricorra un altro e diverso rapporto di lavoro in senso proprio con un’altra amministrazione, come tale rientrante quindi nel divieto oppure se sussistano effettivamente i presupposti e le caratteristiche tipiche della diversa fattispecie del tirocinio formativo, che, in base alla vigente legislazione di tale istituto, non costituisce un rapporto di lavoro, con conseguente possibile esclusione dall’ambito di applicazione del divieto.”

Per quanto indicato, è di tutta evidenza che tutte le P.A., che rientrino nel perimetro di applicazione dell’articolo 1 comma 2 delle norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, debbano, per i principi costituzionali di riferimento, riconoscere,  al caso del tirocinio teorico-pratico dell’Agenzia delle Entrate, che rappresenta una fase concorsuale, una piena tutela del lavoratore assicurando quindi il riconoscimento dell’istituto dell’aspettativa per motivi personali tutte le volte in cui al fine di assicurare la crescita professionale dei propri dipendenti, quest’ultimi chiedano tale istituto proprio per la frequenza di tale tirocinio. Ogni diversa interpretazione oltre a contrastare con i dettami normativi dei Contratti Nazionali di riferimento, cristallizzerebbe un comportamento dell’Amministrazione in palese contrasto con i principi di garanzia e tutela dei lavoratori previsti dall’articolo 1 [6] 4 [7] e 35 [8] della Carta costituzionale.

Note

[1] In questo contesto, anche se non completamente aderente a ciò che le scienze giuridiche insegnano, per semplicità di esposizione, i termini pubblica amministrazione, ente pubblico o soggetto pubblico vengono utilizzati indistintamente per rappresentare tutti lo stesso

[2] previste dall’articolo 97 comma 4 della

[3] art.12 del proprio Regolamento di Amministrazione e Contabilità.

[4] ovvero la possibilità di incidere su altri soggetti, nel perseguimento del fine pubblicistico ad esso assegnato, in modo unilaterale. L’ente pubblico, ad esempio, può operare sul mercato senza scontare la disciplina del fallimento.

[5] Aran – Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

[6] L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

[7] La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto

[8] La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.

 


Fonte: articolo di Simone Chiarelli