Nel cuore delle discussioni parlamentari, si profila un intervento tanto atteso quanto complesso: con il correttivo al cosiddetto decreto PA si cerca una via per porre fine al problema dei dipendenti comunali sottopagati.


Con le modifiche in vista al decreto legge 25/2025 dedicato alla Pubblica Amministrazione, con l’intento di affrontare una delle fratture più profonde nel sistema pubblico italiano — quella retributiva.

Il problema non è nuovo. Da tempo le organizzazioni sindacali e gli enti locali denunciano una “fuga di cervelli” interna alla pubblica amministrazione: professionisti qualificati, spesso giovani e formati, abbandonano i municipi e le amministrazioni regionali per accedere a posizioni più remunerative nei ministeri o nelle agenzie centrali dello Stato. Alla base di questa dinamica c’è una struttura retributiva ormai distorta, che non premia merito e responsabilità in modo uniforme.

Il nodo degli stipendi: un’ingiustizia sistemica

Il ministro della Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha recentemente acceso i riflettori su questo squilibrio. Con parole nette, ha dichiarato che è inaccettabile che un dipendente comunale, a parità di funzioni e competenze, riceva una retribuzione significativamente inferiore rispetto a un collega ministeriale. Una situazione che si ripete in migliaia di amministrazioni locali, con effetti concreti sulla qualità dei servizi pubblici e sull’efficienza del sistema amministrativo.

Questa disparità non è frutto del caso, ma delle regole di finanza pubblica introdotte negli anni passati. Tra le principali, il vincolo che impedisce agli enti locali di aumentare i fondi destinati alla contrattazione integrativa — cioè alla parte variabile delle retribuzioni — oltre i livelli del 2016. In pratica, mentre il costo della vita aumentava, i margini per valorizzare il personale locale restavano fermi al palo.

Il fulcro dell’operazione riguarda pertanto il superamento del tetto ai fondi per le voci integrative dello stipendio, un limite che oggi contribuisce a mantenere ampiamente distanti gli stipendi percepiti da chi lavora nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni rispetto a quelli degli impiegati della PA centrale.

Nel correttivo al decreto PA potrebbe arrivare un aumento di stipendi per i dipendenti comunali? E in che modo?

Il correttivo al decreto PA punta dunque a rimuovere questo freno, permettendo agli enti virtuosi di rivedere verso l’alto i fondi per le risorse decentrate. L’obiettivo è duplice: da un lato, restituire competitività economica agli enti locali nella “gara” interna al settore pubblico per attrarre e trattenere personale qualificato; dall’altro, promuovere una maggiore equità tra lavoratori pubblici, eliminando una discriminazione economica di fatto.

Secondo quanto anticipato dal ministro Zangrillo, l’emendamento sarà inserito nel percorso di conversione del decreto 25/2025, ora all’esame delle commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera. Non si tratta solo di un atto simbolico, ma di un intervento tecnico e strategico, in grado di incidere direttamente sulla struttura delle buste paga di migliaia di dipendenti pubblici.

Il vincolo del bilancio: la sostenibilità come condizione

Tuttavia, l’apertura dei cordoni della borsa ha un limite evidente: la tenuta dei conti pubblici. Il nuovo Documento di economia e finanza (DEF) ha tracciato un quadro rigido, con margini di manovra estremamente ridotti. Per questo, la possibilità di aumentare i fondi integrativi sarà legata alla condizione finanziaria dei singoli enti. Solo le amministrazioni in equilibrio o con bilanci solidi potranno effettivamente beneficiare della rimozione del tetto di spesa.

Restano quindi escluse le realtà in dissesto o coinvolte in piani di riequilibrio finanziario, che rappresentano però una fetta non marginale del panorama locale italiano. Basti pensare che, secondo l’ultima rilevazione della Corte dei Conti, oltre 200 Comuni risultano oggi coinvolti in percorsi straordinari di risanamento, e molti altri si trovano in situazioni di sofferenza economica.

La frattura territoriale: una disparità che divide il Paese

Il rischio, dunque, è che si crei una frattura ulteriore: non più solo tra PA centrale ed enti locali, ma anche tra Comuni “ricchi” e Comuni “poveri”. I primi potranno alzare le retribuzioni e attirare professionalità di livello, mentre i secondi rischiano di restare indietro, rafforzando un divario territoriale già evidente.

Secondo un’analisi del centro studi IFEL-Anci, le differenze retributive tra un dipendente della PA centrale e uno locale a parità di livello possono superare i 5.000 euro annui, tra indennità, premi e progressioni di carriera. Una distanza significativa, che si traduce spesso anche in una minore capacità gestionale degli enti locali, meno attrattivi per giovani e competenti figure tecniche.

Il problema della valorizzazione del personale

Ma il tema economico è solo uno degli aspetti della questione. Il problema della valorizzazione del personale pubblico è più ampio e tocca anche il riconoscimento professionale, le opportunità di crescita interna, la formazione continua e la mobilità. L’assenza di reali prospettive di carriera, unita a stipendi compressi, alimenta un senso di frustrazione tra i dipendenti pubblici locali, molti dei quali sono chiamati ogni giorno a gestire compiti complessi in settori chiave come l’urbanistica, i servizi sociali o l’ambiente.

In questo contesto, la possibilità di investire maggiormente sul salario accessorio potrebbe rappresentare un primo segnale di inversione di tendenza. Un modo per restituire dignità e motivazione a una fetta di lavoratori pubblici troppo spesso considerata marginale.

Una riforma strutturale ancora da scrivere

Tuttavia, come spesso accade, un emendamento non basta a risolvere un problema strutturale. Serve una strategia di lungo periodo, che passi attraverso la revisione dei meccanismi di finanziamento degli enti locali, la semplificazione delle norme sulla spesa del personale e la definizione di criteri omogenei per la valutazione e la premialità. In sostanza, una riforma che riconosca alla PA locale il ruolo fondamentale che svolge nella tenuta sociale ed economica del Paese.

Gli enti territoriali, infatti, sono il primo avamposto dello Stato sul territorio. Sono quelli che erogano i servizi essenziali ai cittadini, che gestiscono la quotidianità amministrativa e che, nei momenti di crisi (pandemie, emergenze climatiche, flussi migratori), diventano punto di riferimento imprescindibile per le comunità.

La sfida dell’equità nella PA

La proposta di rimuovere il tetto alle risorse integrative nel correttivo al decreto PA rappresenta un passo nella direzione giusta di pagare le giuste retribuzioni ai dipendenti comunali, ma da sola non basta. Occorre un cambiamento culturale e normativo che metta al centro l’equità tra lavoratori pubblici e valorizzi le competenze in base al merito, non alla sede di lavoro.

Affrontare il tema della disparità salariale tra amministrazioni centrali e locali significa anche rilanciare l’attrattività dell’intero comparto pubblico, in un momento storico in cui la PA deve affrontare sfide decisive: attuazione del PNRR, transizione digitale, sostenibilità ambientale, nuove esigenze sociali. Senza personale motivato, formato e adeguatamente retribuito, ogni politica pubblica rischia di restare sulla carta.

Il dibattito in Parlamento sarà cruciale per capire se davvero si intende voltare pagina o se ci si limiterà all’ennesimo ritocco parziale. Ma una cosa è certa: senza una pubblica amministrazione solida e giusta, nessuna riforma potrà mai essere davvero efficace.