Il dipendente che entra nella banca dati dell’azienda, senza autorizzazione, può rischiare il licenziamento? Ecco cosa dice la legge.
La digitalizzazione gioca un ruolo sempre più importante nelle aziende di oggi: le banche dati, infatti, possono contenere dati sensibili, sia dei dipendenti che dei clienti di un’azienda o di un ufficio.
Per questo, è sempre importante mantenere alta la sicurezza delle informazioni e dei dati, che deve essere una priorità sia per le aziende che per le amministrazioni pubbliche.
Un dipendente, però, potrebbe accedere alla banca dati senza autorizzazione, per diversi motivi, come ottenere informazioni riservate con una scorciatoia, anche se con buone intenzioni (come migliorare la propria prestazione lavorativa).
Quest’azione, però, potrebbe portare a conseguenze, anche gravi, per il dipendente.
Ecco cosa si rischia.
Dipendente che entra nella banca dati senza autorizzazione: ecco cosa rischia
Se si accede alla banca dati di un’azienda o ad informazioni riservate, quando non si ha l’autorizzazione, magari utilizzando le credenziali di un collega, è una violazione della privacy e della sicurezza aziendale.
Sia le aziende che le amministrazioni pubbliche, infatti, sono responsabili della sicurezza delle informazioni e ogni “fuga di notizie” crea un danno reputazionale.
Proprio per questo, la Cassazione si è pronunciata più volte sul tema e ha ribadito la legittimità del licenziamento del dipendente che accede illegalmente e senza autorizzazione alla banca dati.
L’accesso non autorizzato alla banca dati può essere considerato reato, in base alle normative vigenti sulla privacy e sulla sicurezza dei dati. Proprio per questo, chi commette un reato del genere rischia sanzioni disciplinari interne, ma anche conseguenze penali.
Alcuni provvedimenti possono essere il licenziamento per giusta causa, ma anche una querela per accesso abusivo ad un sistema informatico.
Cosa dice la Cassazione
Nella sentenza n°34717 del 2021, la Cassazione ha rigettato il ricorso di un addetto al servizio clienti di una filiale bancaria, che era stato licenziato dopo aver “curiosato” nei conti corrente di alcuni personaggi famosi, senza autorizzazione.
In questo caso, il dipendente aveva dato la colpa alla Banca per la mancata predisposizione di adeguate protezioni dei dati dei clienti ed era stato allontanato dal lavoro, dopo aver fatto accesso a decine di schede di personaggi dello spettacolo, leggendo numerosi dati sensibili.
Dipendente che entra nella banca dati senza autorizzazione: come trovare la responsabilità
Per dimostrare la responsabilità del dipendente, il datore di lavoro o l’azienda può affidarsi alle riprese delle videocamere interne, senza fornire alcuna comunicazione preventiva al dipendente.
In questo caso, infatti, l’azienda o l’amministrazione pubblica esercita un controllo sulla regolarità degli accessi alla banca dati, di cui è responsabile. Perciò, l’accertamento rientra nei controlli difensivi che il datore di lavoro può adottare, per poter tutelare gli interessi e i beni aziendali.
Per potersi appellare a questo diritto, però, l’azienda o l’amministrazione pubblica deve avere un sospetto. Perché le riprese non possono essere effettuate con scopi investigativi preventivi e con modalità casuali.
Come dichiarato dalla Corte, nell’ordinanza n°7272 del 2024, infatti il controllo deve essere effettuato
“a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto fondato sospetto”.