Nel corso di un’audizione alla Camera, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e l’Unione delle Province d’Italia (UPI) hanno portato all’attenzione delle Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro le principali criticità riscontrate nel nuovo decreto-legge sul reclutamento nella PA.
Il provvedimento, varato dal Governo lo scorso 14 marzo (DL n. 25/2025), mira a semplificare le assunzioni e rafforzare l’efficienza degli uffici pubblici, ma secondo gli enti locali rischia di penalizzare Comuni, Province e Città metropolitane, già in difficoltà per carenze di personale e limiti di bilancio.
Allarme organici dall’ANCI: “Un quarto in meno negli ultimi dieci anni”
Nel corso dell’intervento, l’ANCI ha evidenziato come, a fronte di un incremento dei compiti amministrativi, le amministrazioni locali abbiano visto ridursi drasticamente il personale disponibile: in dieci anni si è registrato un calo del 25% nelle risorse umane. Una situazione resa ancora più complessa dal divario retributivo rispetto ad altri comparti della PA, che rende i Comuni sempre meno attrattivi per i professionisti, soprattutto nei settori tecnici e specialistici.
Il risultato? Concorsi con pochi partecipanti, rinunce anche da parte dei vincitori e un costante trasferimento di dipendenti verso Ministeri, Regioni e agenzie centrali, dove gli stipendi sono mediamente più alti. “Non si può parlare di armonizzazione dei trattamenti economici se non si affronta prima questo squilibrio”, ha osservato l’ANCI.
Retribuzioni accessorie, chieste modifiche per gli enti locali
Uno dei nodi principali riguarda l’articolo 14 del decreto, che rimuove i limiti ai compensi accessori per il personale statale ma lascia fuori gli enti locali. Per l’ANCI si tratta di un’esclusione inaccettabile: “Il personale comunale è tra i meno retribuiti dell’intera pubblica amministrazione, pur gestendo un carico crescente di responsabilità”. Da qui la richiesta di estendere la norma anche a Comuni, Unioni e Città metropolitane, stanziando fondi statali dedicati.
Inoltre, viene sollecitata la disapplicazione di alcune recenti norme di bilancio che limitano l’impiego delle risorse destinate al welfare integrativo, anche in contrasto con quanto già affermato dalla Corte dei Conti.
Mobilità volontaria: regole da adattare alle realtà locali
Altro punto critico è la nuova disciplina sulla mobilità volontaria. La norma, pensata per le grandi amministrazioni centrali, impone di riservare almeno il 15% delle assunzioni a dipendenti provenienti da altri enti. Un criterio che, secondo l’ANCI, rischia di ostacolare le piccole e medie realtà comunali, dove i concorsi si bandiscono spesso per pochissimi posti. La proposta è di rendere questa quota flessibile, limitandola ai casi in cui siano previste almeno 10 assunzioni all’anno e calcolandola solo sulle assunzioni effettive, non su quelle teoricamente possibili.
Fondi ai piccoli Comuni: troppe rigidità, serve flessibilità
Un ulteriore tema affrontato riguarda i finanziamenti destinati ai Comuni con meno di 5.000 abitanti per assumere personale a tempo determinato nell’ambito del PNRR. Le regole attuali – osserva l’ANCI – sono troppo restrittive: impediscono, ad esempio, di utilizzare i fondi negli anni successivi a quello di assegnazione. Eppure, molti enti non hanno potuto spendere le risorse non per negligenza, ma a causa di oggettive difficoltà, come la mancanza di candidati per il ruolo di segretario comunale.
L’associazione chiede quindi una modifica al testo, che consenta di utilizzare i fondi anche in anni successivi e in maniera più aderente alle esigenze effettive dei territori.
Scorrimento graduatorie: una misura positiva, ma da ampliare
Una delle poche novità accolte con favore riguarda l’articolo 4, che elimina temporaneamente il cosiddetto “taglia-idonei” per le graduatorie dei concorsi banditi nel 2024 e 2025. L’ANCI propone però di andare oltre, estendendo questa possibilità e garantendo maggiori certezze agli enti nel reclutamento di nuovo personale.
Il parere dell’UPI
Le Province italiane rischiano il collasso organizzativo. È l’allarme lanciato dall’Unione delle Province d’Italia (UPI) durante l’audizione presso le Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera, in merito alla conversione del decreto-legge 25/2025 sul rafforzamento della Pubblica Amministrazione.
Nel documento presentato ai parlamentari, l’UPI denuncia una situazione al limite: dal 2014 a oggi, il personale delle Province si è quasi dimezzato, passando da oltre 35mila unità a meno di 16mila. Il taglio ha colpito tutte le categorie, inclusi i dirigenti, ormai ridotti a una media di uno ogni 55 dipendenti.
Nonostante la drastica riduzione degli organici, le Province continuano a svolgere funzioni strategiche, come la gestione di oltre 100 mila chilometri di strade e più di 5 mila scuole superiori. Inoltre, sono diventate il punto di riferimento per oltre 2.300 Comuni nelle procedure di gara, con un volume di appalti che nel 2024 ha superato i 14 miliardi di euro.
Negli ultimi anni, nonostante alcuni tentativi normativi per rilanciare l’occupazione nelle Province, i risultati sono stati deludenti: solo 500 nuove assunzioni tra il 2022 e il 2024, in gran parte legate al normale turnover. Le cause? Entrate in calo e costi contrattuali che comprimono le possibilità di assumere.
A complicare ulteriormente il quadro, il nuovo decreto in discussione – secondo l’UPI – rischia di aumentare il divario tra la PA centrale e quella locale. Infatti, mentre il provvedimento prevede risorse aggiuntive (190 milioni) per il trattamento economico accessorio dei ministeriali, nulla è destinato ai dipendenti degli enti locali, già penalizzati da una minore competitività salariale. Il divario retributivo, come confermato anche dall’ultimo rapporto Aran, è uno dei principali motivi della scarsa attrattività delle Province nei concorsi pubblici.
Le richieste dell’UPI: più assunzioni, stop al tetto dei salari accessori e un portale unico per la trasparenza
L’Unione delle Province d’Italia ha presentato sei proposte concrete per modificare il decreto in fase di conversione. Al primo posto, l’assunzione di almeno 300 funzionari specializzati, sul modello degli interventi già previsti per le Province del Sud, da impiegare nella progettazione, gestione degli appalti e transizione digitale ed ecologica.
Serve poi ampliare gli spazi assunzionali, escludendo i recenti aumenti contrattuali dal calcolo delle spese di personale, così da non penalizzare ulteriormente i bilanci degli enti.
Tra le richieste figura anche l’abolizione del tetto imposto dall’articolo 23 del decreto legislativo 75/2017 ai fondi per i salari accessori, una norma considerata ormai superata che congela le risorse a livelli di otto anni fa, rendendo il settore locale sempre meno competitivo.
L’UPI propone inoltre di permettere alle Province di finanziare autonomamente strumenti di welfare aziendale e di introdurre l’obbligo per i vincitori di concorso di rimanere almeno tre anni nell’ente che li ha assunti, per contrastare l’alto tasso di mobilità in uscita verso amministrazioni più attrattive.
Infine, l’associazione propone di sfruttare l’occasione legislativa per semplificare le incombenze sulla trasparenza amministrativa, creando un Portale nazionale unico, in linea con il processo di digitalizzazione della PA.
Un test per il Parlamento
Il decreto sul reclutamento nasce con l’obiettivo di rafforzare la macchina pubblica, ma – secondo l’UPI – rischia di farlo solo a metà, lasciando fuori proprio quelle realtà territoriali che più hanno sofferto il blocco del turn over e il depotenziamento degli organici.
Ora la palla passa al Parlamento: per le Province si tratta di un banco di prova cruciale. L’esito della conversione del decreto dirà molto su quale modello di pubblica amministrazione l’Italia intenda costruire nei prossimi anni.