Potrebbero arrivare novità davvero interessanti se la riforma della previdenza dovesse andare effettivamente in porto: uno dei punti più “caldi” è quello del possibile stop all’aumento automatico dal 2027 dell’età pensionabile.
Il tema delle pensioni resta sul tavolo delle priorità del governo Meloni che, nei prossimi mesi, potrebbe rilanciare il confronto su una riforma previdenziale strutturata, recuperando le promesse fatte in campagna elettorale e avviando un percorso di superamento graduale della legge Fornero.
Età pensionabile, verso lo stop all’aumento automatico dal 2027
Una delle mosse più attese riguarda il blocco dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile alle aspettative di vita. In base ai dati ISTAT, la Ragioneria di Stato ha dichiarato che l’incremento dell’aspettativa di vita per la popolazione a partire dai 65 anni, porterà a un innalzamento di 3 mesi dei requisiti anagrafici e contributivi a partire dal 2027.
Il governo, tuttavia, starebbe valutando l’ipotesi di bloccare questo aumento, stanziando risorse dedicate entro la fine del 2025.
Anche se la misura non rappresenta una vera riforma nel senso ampio del termine, il blocco dell’aumento dell’età pensionabile segnerebbe un primo passo concreto verso il superamento della legge Monti-Fornero. Il Ministro Giorgetti ha lasciato intendere che l’esecutivo è determinato a intervenire, bloccando l’adeguamento e aprendo così la strada a ulteriori correttivi. Un gesto che potrebbe anticipare una revisione più ampia del sistema, volta a rendere più equo e flessibile l’accesso alla pensione.
Verso una flessibilità strutturata: pensione a 64 anni per tutti?
Un altro fronte caldo è quello delle misure di anticipo pensionistico. Se da un lato si punta a congelare i requisiti per la pensione di vecchiaia e quella anticipata ordinaria (attualmente fissati rispettivamente a 67 anni e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne), dall’altro si torna a discutere di opzioni che favoriscano l’uscita anticipata.
Tra le proposte più concrete c’è quella di introdurre una pensione contributiva accessibile già a 64 anni, con almeno 20 anni di versamenti e un importo minimo pari a tre volte l’assegno sociale (circa 1.616 euro al mese). In quest’ottica, anche i contributi versati a forme integrative sarebbero conteggiati, offrendo così una soluzione utile anche a chi non ha carriere lunghe alle spalle.
Quota 41 per tutti: la sfida della Lega
Accanto alla flessibilità anagrafica, il dibattito politico si concentra sulla cd. Quota 41, ovvero la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Ad oggi, questa opzione è riservata a specifiche categorie (precoci, invalidi, caregiver, disoccupati e addetti a mansioni gravose), ma la Lega continua a spingere per estenderla a tutti i lavoratori. Un intervento che richiederebbe sicuramente coperture finanziarie significative, ma che rappresenterebbe un punto di svolta nella politica previdenziale dell’esecutivo.
Prevenire nuovi esodati: una riforma per evitare vuoti normativi
Intervenire sull’età pensionabile non è solo una questione economica, ma anche sociale. Dal 2027, il rischio concreto è la creazione di nuovi “mini-esodati”, ossia lavoratori rimasti senza ammortizzatori dopo l’uscita anticipata con strumenti come Isopensione o contratti di espansione, che si ritroverebbero con un vuoto di 3 mesi prima di maturare i requisiti.
Il 2025 potrebbe dunque segnare una svolta decisiva per il sistema pensionistico italiano, con il governo pronto a bloccare l’aumento dell’età pensionabile e a promuovere uscite più flessibili. Dalla pensione a 64 anni alla Quota 41 per tutti, le nuove misure mirano a rendere l’accesso alla pensione più equo e sostenibile.