La Corte dei Conti si pronuncia sul danno all’immagine della PA e lo equipara in gravità al cosiddetto danno esistenziale.
La Procura regionale della Corte dei Conti, sezione della Lombardia, contesta a un dipendente gli illeciti che avrebbero determinato una significativa lesione del prestigio istituzionale, attesa la gravità intrinseca dei fatti e la loro diffusione sia in sede processuale, sia tramite i mass media, con conseguente perfezionamento di un danno erariale all’immagine dell’amministrazione di appartenenza, quantificato nella somma di euro 5.000,00, pari al doppio delle utilità indebitamente percepite.
La richiesta della Procura viene accolta (140/2020) ritenendo che il comportamento delittuoso posto in essere ha cagionato un indubbio danno all’immagine dell’Ente di appartenenza, atteso che la vicenda ha ineluttabilmente avuto risonanza nell’ambito dell’amministrazione, in ambito giudiziario e nei mass media (come da documentazione versata in atti; cfr. allegato n.17 del fascicolo della Procura Regionale).
Per la Corte dei Conti il danno all’immagine della PA equivale al danno esistenziale
Il danno all’immagine, si afferma nella sentenza – tradizionalmente inquadrato in termini di danno evento da ascrivere alla categoria del c.d. danno esistenziale (specificamente, sul punto, C. Conti, SS.RR., n.10/2003/QM) – rileva ex se nell’ambito della clausola generale contenuta nell’art.2043 c.c..
Il pregiudizio, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è comunque suscettibile di valutazione economica sotto il profilo delle spese necessarie per il ripristino del bene giuridico leso, onde la qualificazione di “danno patrimoniale indiretto” o “in senso lato”.
La ricostruzione della fattispecie dannosa si basa, più in particolare, proprio sul collegamento normativo dell’art. 2043 c.c. (oltre che, in ambito strettamente pubblicistico, di una delle norme-clausole generali che nel sistema della responsabilità amministrativa consentono l’attivazione della pretesa risarcitoria – art. 52 del T.U. Corte dei conti, art. 18 del T.U. n. 3/57, etc.) con le disposizioni contenute nella Carta costituzionale che tutelano la personalità, l’immagine e il prestigio della Pubblica Amministrazione (artt. 2, 42, 53, e, soprattutto, art.97, che eleva a rango costituzionale il valore dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa e, conseguentemente, del prestigio e dell’immagine della Pubblica Amministrazione).
In altri termini, il danno all’immagine è un “danno pubblico” in quanto lesione del buon andamento della P.A., la quale perde, con la condotta illecita dei soggetti ad essa vincolati da un rapporto di servizio, credibilità ed affidabilità all’interno ed all’esterno della propria organizzazione, ingenerando la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere da chi opera per suo conto, siano un connotato usuale dell’azione dell’amministrazione (tra le tante, Corte Conti, Sez. Lombardia, n. 284/08 e n. 540/08).
Perfezionamento del danno all’immagine
Il perfezionamento del danno all’immagine, nella sua configurazione di danno c.d. esistenziale, non necessita di una deminutio patrimonii e rileva, dunque, immediatamente a seguito dell’intervenuto compimento di specifiche condotte illecite, idonee a determinare concretamente il pregiudizio del bene tutelato; in altri termini, ai fini della configurabilità di tale voce di danno, è sufficiente la sussistenza di un fatto intrinsecamente dannoso, in quanto contrastante con interessi primari protetti in via diretta ed immediata dall’ordinamento giuridico (così, ex multis, Corte Conti, Sez. Lombardia, n. 1390/04, n. 831/08 e n. 834/08; Corte Conti, I° App., n. 222/04).
Sul versante dell’onere della prova non è pertanto necessario dimostrare in concreto di aver sostenuto spese per il ripristino dell’immagine lesa, risultando sufficiente la dimostrazione delle condotte lesive (C. Conti, Sez. I° App., n. 16/2002; id., n.96/2002; id., Sez. Lombardia, n. 1478/2003 e n.433/2004; id., Sez. II° App., n. 27/2004).
La più recente giurisprudenza contabile ha avuto modo di ricondurre il danno rappresentato dalla violazione della personalità pubblica dell’amministrazione, costituzionalmente connotata da efficienza ed imparzialità, nell’alveo dell’art. 2059 c.c., oggetto di una interpretazione costituzionalmente orientata, tesa a ricomprendere, nell’astratta previsione della norma, ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, comprendendo tra essi il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona stessa (Corte dei Conti, Sez. I° App., n. 231/08; id., n. 94/07; id., Sez. Lombardia, n. 34/08 e n.529/08); con ciò aderendo ai più recenti orientamenti espressi in materia dalla Corte di Cassazione (in termini, sentenza SS.UU. della Corte di Cassazione n. 26972/2008).
Versante probatorio
Sul versante probatorio deve essere ammesso il ricorso alla prova presuntiva (la cui pari dignità rispetto agli altri strumenti di prova è chiaramente affermata), al fine di far discendere dal fatto illecito le conseguenze negative, ampiamente prevedibili e presumibili alla stregua dell’id quod plerumque accidit, in termini di offuscamento dell’immagine e del prestigio della p.a. interessata – come invero già prefigurato dalla sentenza Corte Conti, Sez. riunite n. 10/QM/03 e dalla successiva conforme giurisprudenza di questa Corte (così, Corte Conti, Sez. II° App., n. 143/09 e n. 305/10).
La rilevanza del danno all’immagine si fonda, a livello normativo, sull’art.17, comma 30 ter, D.L. n.78/2009 (definitivamente convertito in Legge n.141/2009), a mente del quale
“Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale…”.
Si precisa che l’art.7 della Legge n.97/2001 è stato abrogato dall’art. 4, comma 1, lett. g), dell’allegato III al D.Lgs. n. 174/2016, a decorrere dal 7 ottobre 2016 e che il richiamo normativo previsto dall’art.17, comma 30 ter, D.L. 78/2009 deve essere oggi riferito all’art. 51, comma 7, D.Lgs. n.174/2016, a mente del quale
“La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Il testo della sentenza
Qui il testo completo della Sentenza.
Fonte: articolo di Santo Fabiano