Contratto Pubblico Impiego, Corte dei Conti boccia il rinnovo? Arretrati, aumenti a regime e molte altre spese ancora:troppe risorse da mettere in gioco? O da reindirizzare nel modo giusto?
Contratto Pubblico Impiego, Corte dei Conti esprime un parere. Pesano gli aumenti riconosciuti in busta paga, ma non gli arretrati 2016-2018 che si concentrano su quest’anno. Attenzione, però, perché dal 1° gennaio prossimo parte il nuovo triennio contrattuale, e la manovra d’autunno dovrebbe rimettere mano al portafoglio.
La spesa per i redditi nella Pa vola quest’anno a 170,99 miliardi, cioè 6,98 miliardi sopra i livelli dello scorso anno. La gobba arriva dopo anni di stabilità, dovuta proprio al lungo blocco della contrattazione nel pubblico impiego.
Sono tante le risorse da mettere in campo, dunque. Ma il punto nevralgico sarebbe il fatto che queste risorse sembrerebbero non essere redistribuite nel modo giusto.
Anche per questo motivo la Corte dei Conti sembrerebbe aver fatto un passo indietro il merito al rinnovo del Contratto del Pubblico Impiego. Il rinnovo del contratto non ha ottenuto il consenso della Corte dei Conti, come sottoscrive la delibera depositata il 23 marzo scorso.
I giudici contabili della Corte dei Conti, pur certificando la compatibilità economica dell’accordo, hanno definito insoddisfacente l’accordo raggiunto dai sindacati e l’amministrazione dal momento che questo manca della sua componente prioritaria: stimolare la produttività nel pubblico impiego legando la maggior parte degli incrementi stipendiali al merito.
Le (poche) risorse disponibili sono state utilizzate esclusivamente per aumentare la parte fissa della retribuzione, tralasciando la parte del salario accessorio sulla quale invece bisognava concentrarsi.
In particolare, sulle disposizioni relative agli aumenti contrattuali, i magistrati contabili richiamano “l’esigenza di definire un quadro programmatico di riferimento per la crescita della spesa di personale”. Nella delibera si osserva infatti che gli incrementi retributivi pari al 3,48% della massa salariale, tali da consentire aumenti medi mensili pari a 85 euro a partire da marzo 2018, sono “importi superiori a quelli previsti nel caso in cui si fosse applicato l’indice Ipca o il tasso di inflazione programmato”.