Permangono ancora limiti alla stabilizzazione dei precari? La strada che dovrà portare, invece, al rinnovo dei contratti collettivi per i dipendenti della Pa è ancora piena di vincoli?
Contratti collettivi e precari: ancora criticità. Sul versante precari, l’ampliamento più significativo nella direzione della stabilizzazione è costituito dalla possibilità di superare il tetto delle capacità assunzionali dell’ente. I Comuni infatti possono infatti utilizzare in tutto o in parte la spesa media per le assunzioni flessibili del triennio 2015/2017 aggiungendole alle ordinarie capacità assunzionali (che peraltro sono state di recente aumentate dalla legge di conversione del D.L. n. 50/2017); è necessario dimostrare che il Comune è in possesso dei requisiti per le assunzioni, che la spesa per le assunzioni flessibili viene diminuita in modo permanente, che non si determinano maggiori oneri e che comunque le spese sono sostenibili.
I limiti che frenano il ricorso a questo istituto sono tuttavia molti: in primo luogo, possono essere stabilizzati solo i dipendenti a tempo determinato, i Co.Co.Co. ed i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità.
C’è una specifica esclusione per i somministrati e i dirigenti, e per chi è stato assunto come componente un ufficio di staff di organi politici di qualunque amministrazione e, negli enti locali, per gli assunti ex articolo 110 del Tuel. Inoltre, la stabilizzazione è una possibilità delle P.A. e non un obbligo.
Riguardo i Co.Co.Co. è arrivato anche l’ultimo avviso dell’Inps ai committenti pubblici e privati che hanno denunciato lavoratori alla gestione separata ma non hanno pagato i relativi contributi: sono state elaborate le situazioni debitorie delle aziende committenti che, per l’anno 2016, hanno denunciato, tramite il flusso Uniemens, il pagamento di compensi ai soggetti iscritti alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 335/1995. L’elaborazione ha interessato sia le aziende committenti private che le Pubbliche Amministrazioni.
Sulla questione rinnovo, invece? Secondo la nuova direttiva ARAN non si trovano le soluzioni ai parecchi dubbi che sorgono dalla sua lettura. Se da un lato il documento, per natura, deve avere contorni abbastanza sfumati, dall’altro è indubbio che non si trovano quei binari entro i quali l’Aran può e deve muoversi.
La legge di stabilità per l’anno 2016 (articolo 1, comma 466, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, come modificato dall’articolo 1, comma 369, della legge 11 dicembre 2016, n. 232) ha previsto, in applicazione dell’articolo 48, comma 1 del d.lgs. n. 165/2001, risorse pari a 300 milioni di euro al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, a decorrere dall’anno 2016, da destinare al rinnovo dei contratti collettivi di lavoro del personale dipendente delle amministrazioni statali, con riferimento al periodo contrattuale 2016-2018, nonché ai miglioramenti economici del personale in regime di diritto pubblico dipendente dalle medesime amministrazioni.
L’articolo 48, comma 2 del d.lgs. 165/01 stabilisce inoltre che le risorse per gli incrementi retributivi per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali delle amministrazioni regionali, locali e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonché delle università, degli enti pubblici non economici, degli enti e delle istituzioni di ricerca, ivi compresi gli enti e le amministrazioni di cui all’articolo 70, comma 4 del medesimo decreto legislativo, siano posti a carico dei rispettivi bilanci. Per quanto concerne amministrazioni regionali e locali ed enti del servizio sanitario nazionale, la stessa norma specifica che le risorse siano definite dal Governo, nel rispetto dei vincoli di bilancio, del patto di stabilità e di analoghi strumenti di contenimento della spesa, previa consultazione con le rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie.
Tutti concordano sul fatto che le risorse attualmente previste per tale scopo e rese disponibili dalle leggi di bilancio dell’anno 2016 e 2017 non coprano gli oneri derivanti da quell’aumento medio di 85 euro già fissato nell’accordo dello scorso 30 novembre. Ma questo cosa vuol dire? Due possono essere le conseguenze: il rinvio dei rinnovi contrattuali al momento in cui, con la legge di bilancio 2018, saranno reperite le risorse mancati, vale a dire la primavera prossima, oppure la sottoscrizione dei Ccnl con una clausola di salvaguardia che preveda la rinegoziazione nel caso in cui, in futuro, non vengano rimpinguate le disponibilità.